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della discussione di indirizzo lavori -
afferma Carretta -, ma al contempo de-
terminata nel rispetto degli obiettivi di
prestazione, costoe tempodi sviluppo.
Non è un esercizio semplice, ma, oggi,
inunmondosemprepiùcompetitivo, è
la strada obbligata per l’ottimizzazione
dell’attività nella quale si è impegnati
e dalla quale dipende buona parte del
successodel progettooprodottoche si
vuole realizzare, convantaggi reciproci
per tutti coloro che sono chiamati al
suo sviluppo”.
“Direi che di per sé non è un’attività
difficile - conclude Pascali - ma èmolto
complessa in quanto occorre interfac-
ciarsi con molte persone all’interno
dell’azienda cliente, dai tecnici pro-
gettisti ai manutentori, ai responsabili
del progetto, ognuno con le proprie
necessità.
Spesso emergono degli input molto
diversi, a volte anche in contrasto tra
loro, e bisogna essere in grado di di-
scernerecosasiapiùutileper realizzare
il prodotto più adeguato a soddisfare
l’applicazione del cliente”.
Bedon aggiunge che: “Può non essere
immediato e richiede uno sforzo da
parte di tutti per andare aldilà delle
funzioni e saper lavorare nellamatrice.
È l’espressione più completa del con-
cetto di lavoro in team interfunzionale
in cui tutti condividono il medesimo
obiettivo finale e non si è più respon-
sabili solo della propria parte. Quando
ciò accade, i risultati sono eccezionali”.
“Non è un metodo difficile da appli-
care - commenta Manzoni - anche
perché il Co-Design esiste ormai da
decenni. Oggi, il vantaggio è quello di
poter utilizzare nuove tecnologie che
facilitano la progettazione collabora-
tiva. Ciò avviene anche per periodi
relativamente brevi, ma molto intensi,
in stretta sinergia.
Gli strumenti utilizzati dal team di pro-
gettisti che coordino sono la realtà
virtuale e il rapid prototiping. Queste
tecnologie non solo permettono una
più facile collaborazionenello sviluppo
in tempo reale dell’idea, ma anche
di modificare in itinere prodotti esi-
stenti”.
“Calare il processo di Co-Design - con-
clude Galimberti - nella realtà produt-
tiva italiana, come dice il mio collega
designer Massimo Farinatti, che mi
affiancanel ComitatodirettivoADI, può
incontrare ancora degli ostacoli, legati
in egual misura a una scarsa definizio-
ne del tavolo di regia, che dovrebbe
essereaffidatoal designer, comeanche
alla scarsa attitudine alla cooperazione
fra le parti. L’analisi dei desideri ine-
spressi degli utenti finali è utilizzata
ancora in modo marginale, l’uso dei
social è visto più come un possibile
mezzo di pubblicità virale piuttosto che
come uno strumento di conoscenza.
L’auspicioèche il co-design, strumento
strategico focalizzatoaquellocheviene
definito human centered design possa
diventare pratica comune del processo
creativo-produttivo”.
INCHIESTA
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