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rmo

giugno/luglio 2016

Strategie

PERSONAGGIO DEL MESE

al mercato servono anche investimenti privati, il pubblico

non basta. Nella robotica soft siamo stati pionieri, ma ora è

esplosa, e gruppi di tutto il mondo ci si stanno dedicando.

Io da un lato ne sono felicissima, però so bene che presto

verrò superata, perché in altri Paesi le risorse disponibili sono

maggiori. In Italia purtroppo il meccanismo di trasferimento

dei risultati della ricerca alla produzione e al mercato non è

ancora fluido. Ci sono realtàpositive,magli USAsonoancora

lontani”.

Che soluzioni propone?

“Da una parte i ricercatori devono impegnarsi di più a far co-

noscere il valore della propria ricerca: credomolto nel valore

della comunicazione scientifica. Dall’altra le aziende dovreb-

bero avere un atteggiamento più aperto all’investimento

nell’innovazione. Gli imprenditori statunitensi investono: nel

sociale, nella ricerca, nell’universitàda cui provengono. Enon

solo per ragioni fiscali: è anche un fatto culturale. L’impren-

ditore italiano invece misura il successo soprattutto nei lussi

che riesce a concedersi, non in questo tipo di investimenti”.

del robot, e anche il modo di controllarlo, perché in ambienti

complessi la modalità attuale diventa troppo complicata, e

perciòmeno robusta, più soggettaa fallire. Esempi pratici: ab-

biamo prodotto un endoscopio a resilienza variabile (dove la

morbidezzaè vantaggiosaper introdursi all’internodel corpo

umano), e stiamo progettando un braccio per aiutare gli an-

ziani a fare ladoccia, dove l’usodimaterialimorbidi rendepiù

accettabile e sicuro lasciarsi toccare e strofinare”.

Perché oggi la ricerca robotica in Italia è così fiorente?

“In parte perché l’Italia è sempre stata forte nel campo della

robotica industriale, dove è uno dei Paesi leader insieme a

Germania, USA e Giappone. Ma anche a nella ricerca l’Italia

è sempre stata all’avanguardia. E ci sono due poli, Pisa con la

Scuola Superiore S. Anna, e Genova, prima con l’Università e

poi con l’IIT, dove si sono sviluppate la robotica di servizio e

quella che oggi chiamiamo biorobotica. Questo grazie anche

al lavoro di Paolo Dario alla Scuola S.Anna, che ha proposto

l’uso di robot in ambito biomedico, per chirurgia e riabilita-

zione, e la robotica ispirata alla Natura: non a caso il nostro si

chiama Istituto di Biorobotica”.

Tuttavia in Italia abbiamo difficoltà a tradurre ricerche

tanto avanzate in applicazioni industriali concrete. Cosa

bisogna fare?

“La ricerca deve avere finanziamenti. Specie la nostra, che è

benpiù costosadi unapuramente teorica. Inoltreper arrivare

Professoressa Mazzolai, cosa l’ha portata nell’elenco di

RoboHub?

“Mi occupo di robotica bioispirata: nel mio caso i modelli bio-

logici da cui partire sono state le piante, considerate per la

prima volta a livello mondiale come modello per la robotica,

eanimali ‘soft’ come il polpoealtri

invertebrati.Mi

piace ricor-

BARBARA MAZZOLAI coordina il Centro di Micro-BioRobotica

dell’Istituto Italiano di Tecnologia a Pontedera, in Toscana.

dare che il mio non è il lavoro di un singolo, ma di un gruppo:

ho ottenuto riconoscimenti perché con me lavorano persone

brave e motivate, un team completamente interdisciplinare.

Edèmolto interessantequestoaspetto: vedere comepersone

del tutto diverse lavorano insieme per risolvere un problema

comune”.

Octopus è un

robot ispirato al

polpo. Il progetto

è considerato un

pioniere nella soft

robotics, che si

basa sull’impiego

di materiali

morbidi per

costruire automi.