26
rmo
giugno/luglio 2016
Strategie
PERSONAGGIO DEL MESE
al mercato servono anche investimenti privati, il pubblico
non basta. Nella robotica soft siamo stati pionieri, ma ora è
esplosa, e gruppi di tutto il mondo ci si stanno dedicando.
Io da un lato ne sono felicissima, però so bene che presto
verrò superata, perché in altri Paesi le risorse disponibili sono
maggiori. In Italia purtroppo il meccanismo di trasferimento
dei risultati della ricerca alla produzione e al mercato non è
ancora fluido. Ci sono realtàpositive,magli USAsonoancora
lontani”.
Che soluzioni propone?
“Da una parte i ricercatori devono impegnarsi di più a far co-
noscere il valore della propria ricerca: credomolto nel valore
della comunicazione scientifica. Dall’altra le aziende dovreb-
bero avere un atteggiamento più aperto all’investimento
nell’innovazione. Gli imprenditori statunitensi investono: nel
sociale, nella ricerca, nell’universitàda cui provengono. Enon
solo per ragioni fiscali: è anche un fatto culturale. L’impren-
ditore italiano invece misura il successo soprattutto nei lussi
che riesce a concedersi, non in questo tipo di investimenti”.
del robot, e anche il modo di controllarlo, perché in ambienti
complessi la modalità attuale diventa troppo complicata, e
perciòmeno robusta, più soggettaa fallire. Esempi pratici: ab-
biamo prodotto un endoscopio a resilienza variabile (dove la
morbidezzaè vantaggiosaper introdursi all’internodel corpo
umano), e stiamo progettando un braccio per aiutare gli an-
ziani a fare ladoccia, dove l’usodimaterialimorbidi rendepiù
accettabile e sicuro lasciarsi toccare e strofinare”.
Perché oggi la ricerca robotica in Italia è così fiorente?
“In parte perché l’Italia è sempre stata forte nel campo della
robotica industriale, dove è uno dei Paesi leader insieme a
Germania, USA e Giappone. Ma anche a nella ricerca l’Italia
è sempre stata all’avanguardia. E ci sono due poli, Pisa con la
Scuola Superiore S. Anna, e Genova, prima con l’Università e
poi con l’IIT, dove si sono sviluppate la robotica di servizio e
quella che oggi chiamiamo biorobotica. Questo grazie anche
al lavoro di Paolo Dario alla Scuola S.Anna, che ha proposto
l’uso di robot in ambito biomedico, per chirurgia e riabilita-
zione, e la robotica ispirata alla Natura: non a caso il nostro si
chiama Istituto di Biorobotica”.
Tuttavia in Italia abbiamo difficoltà a tradurre ricerche
tanto avanzate in applicazioni industriali concrete. Cosa
bisogna fare?
“La ricerca deve avere finanziamenti. Specie la nostra, che è
benpiù costosadi unapuramente teorica. Inoltreper arrivare
Professoressa Mazzolai, cosa l’ha portata nell’elenco di
RoboHub?
“Mi occupo di robotica bioispirata: nel mio caso i modelli bio-
logici da cui partire sono state le piante, considerate per la
prima volta a livello mondiale come modello per la robotica,
eanimali ‘soft’ come il polpoealtri
invertebrati.Mipiace ricor-
BARBARA MAZZOLAI coordina il Centro di Micro-BioRobotica
dell’Istituto Italiano di Tecnologia a Pontedera, in Toscana.
dare che il mio non è il lavoro di un singolo, ma di un gruppo:
ho ottenuto riconoscimenti perché con me lavorano persone
brave e motivate, un team completamente interdisciplinare.
Edèmolto interessantequestoaspetto: vedere comepersone
del tutto diverse lavorano insieme per risolvere un problema
comune”.
Octopus è un
robot ispirato al
polpo. Il progetto
è considerato un
pioniere nella soft
robotics, che si
basa sull’impiego
di materiali
morbidi per
costruire automi.