progettare
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OTTOBRE
2016
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trarre i maggiori vantaggi da questa
economia incredibile”.
Se Olanda, Giappone e Svizzera sono
i primi tre Paesi investitori negli USA
(con flussi rispettivamente di 29,3
miliardi, 25,4 miliardi e 17,7 miliardi
di euro), secondo i dati diffusi dalla
Farnesina l’Italia nel 2014 ha fatto
affluire nel mercato americano ben
2,8 miliardi di euro, un aumento
che sfiora il 50% rispetto agli 1,5
miliardi nel 2013. Una tendenza che
vede un ritorno dei capitali italiani,
per gli insediamenti produttivi c’è di
solito coincidenza tra lo Stato in cui
si trova l’insediamento e quello in cui
viene costituita la società) - continua
Vittorio Salvadori -. Le problematiche
maggiori e gli ostacoli più frequenti
sono di carattere conoscitivo, ovvero
la scarsa familiarità con una fiscalità
diversa dalla nostra: il suggerimento
è di non andare allo sbaraglio, e ren-
dersi conto che ci si sta affacciando
in un mercato diverso che richiede
l’assistenza di consulenti esperti per
milioni di abitanti (62%), un sistema
fiscale certo e trasparente (58%) sia
per quanto riguarda l’import sia per
quanto riguarda l’export, e una tas-
sazione concretamente vantaggiosa
per le aziende straniere che vogliono
investire negli USA (55%). Tra le pre-
occupazioni principali che inibiscono
gli investimenti all’estero la burocra-
zia (68%), la scarsa conoscenza del
sistema legale (62%) e la lenta ripresa
economica (57%). Dubbi raccolti dagli
esperti in campo di tutela legale degli
investimenti, che raccomandano di
operare con il supporto di professio-
nisti con grande esperienza interna-
zionale per non rischiare di andare
incontro a controversie fiscali e legali.
Il sistema fiscale
“Il primo ostacolo per gli investitori
è confrontarsi con un sistema fiscale
diverso dal nostro - spiega Vittorio
Salvadori di Wiesenhoff, partner della
sede milanese dello studio legale in-
ternazionaleK&LGates e responsabile
del dipartimentodi diritto tributario -. Il
primo e fondamentale step è valutare
le conseguenze fiscali derivanti dalla
tipologia d’ingresso che viene effet-
tuata sul mercato statunitense”. Anche
in assenza di una presenza fisica sul
territorio c’è il rischio della creazione
di una ‘stabile organizzazione’, instau-
rabile in alcuni casi anche con un
accordo commerciale con terzi (ad
esempio, con un distributore locale),
che implica il pagamento di imposte
negli Stati Uniti. “Qualora, invece,
si decida di avere una presenza più
strutturata nel Paese, con la costituzio-
ne di una società in loco, occorre da
un lato valutare quale sia la tipologia
societaria più adatta, non solo sotto il
profilo fiscale, al perseguimento dei
propri obiettivi, e dall’altro scegliere
lo Stato dove procedere alla costi-
tuzione (la scelta ricade di frequente
sul Delaware, in considerazione di
una legislazione societaria estrema-
mente evoluta e flessibile; tuttavia,
L’esperienza dell’Emilia-Romagna
Il mercato statunitense si sta afferman-
do come uno dei principali mercati di
riferimento per le imprese emiliano-
romagnole. “L’Emilia-Romagna, con la
sua economia fortemente orientata ai
mercati esteri (siamo la prima regione
d’Italia per export pro capite, la terza
per investimenti diretti all’estero), gioca
un ruolo di primo piano nei rapporti di
interscambio del nostro Paese con gli
USA - commenta Gino Cocchi, presidente
della Commissione Internazionalizzazione di Confindustria Emilia-Romagna -: con il 17% del
totale delle esportazioni nazionali siamo la seconda regione, dopo la Lombardia, per export
verso il mercato statunitense”. Il riemergere degli USA quale principale mercato di sbocco per
l’Italia, secondo il rappresentante di Confindustria, si deve da un lato all’apprezzamento e
alla crescente attenzione degli americani per i prodotti del Made in Italy, simbolo di qualità e
di stile, dall’altro dalla particolare congiuntura dei mercati internazionali che sta premiando
i Paesi, come gli USA, che possono vantare stabilità e dinamicità economica, ma soprattutto
un sistema di regole e leggi certo e trasparente.