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MARZO
2015
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Su quest’ultimo versante l’Italia oc-
cupa comunque una posizione non
troppo brillante, con una percentuale
di brevetti che coinvolgono partner
internazionali inferiore al 20%mentre,
per quanto riguarda la produzione di
articoli scientifici, poco meno del 40%
degli articoli pubblicati da istituzioni di
ricerca italiane coinvolgono ricercatori
con sede all’estero, a fronte del 50%
dei Paesi del nord Europa, del 60%
della Svizzera e del 70% dell’Islanda.
Cifre non esaltanti ma comunque mi-
gliori di quelle di Stati Uniti e Corea
(poco meno del 25%), e Cina (poco
più del 15%).
Manifatturiero ed esportazioni
L’Italia resta comunque il secondo Pa-
ese in area Ocse per esportazioni nel
manifatturiero, e la settima economia
quanto a esportazioni totali. Tutta-
via se consideriamo il ‘commercio di
valore aggiunto’ (quanto di italiano
è incluso nelle merci utilizzate dai
consumatori sulmercatomondiale), si
verificanomeglio gli elementi che ren-
dono competitivo un Paese. Francia,
Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania
(e inparte Italia) riescono a connettersi
meglio con la domanda estera attra-
verso lo sviluppo di servizi finanziari
e di business. Considerando i primi
30 esportatori del comparto manifat-
turiero, l’Italia si conferma dotata di un
sensibile vantaggio competitivo. Un
vantaggio che potrebbe essere eroso
a beneficio di altri che mostrano un
tipo di scambi commerciali a più alto
valore aggiunto.
La quantità di richieste di registrazione
di marchi di fabbrica dirette a uffici
stranieri e provenienti da un determi-
nato Paese è una buona indicazione di
quanto le imprese di quel Paese siano
in grado di entrare nei mercati esteri.
Da questo punto di vista, l’Italia si
colloca bene soprattutto per quanto ri-
guarda il mercato europeo, grazie a un
numero di richieste indirizzate all’Eu-
ropean Office for the Harmonization
in the Internal Market, secondo solo a
Germania e Gran Bretagna, e di poco
inferiore alla Spagna. La capacità dei
marchi italiani di puntare al mercato
giapponese è interessante: le richie-
ste presentate al Japan Patent Office
(JPO) competono, come quantità, con
quelle di Germania, Inghilterra e Fran-
cia. Dal punto di vista merceologico,
circa il 50% dei brevetti italiani ricade
nella categoria dei manufatti di livello
tecnologico alto o medio-alto, mentre
poco meno del 25% è compreso nei
manufatti di basso livello tecnologico.
Per quanto riguarda il fattore umano
per l’innovazione, importante è il li-
vello di formazione tecnico scientifica
degli occupati di un Paese. A questo
proposito l’Ocse ha messo a punto un
indicatore sperimentale per misurare
il grado di capitale basato sulla cono-
scenza in relazione alla formazione e ai
compiti dei lavoratori impiegati nelle
aziende dei diversi Paesi, mettendo
insieme ricercatori, addetti al design
del prodotto, informatici e altre figure
qualificate che possono fare la diffe-
renza in un’azienda.
Fra i Paesi Ocse si va da un minimo
del 13% (Turchia) a un massimo del
28% (Usa) di percentuale di capitale
ad alto valore aggiunto di conoscen-
za sul totale degli occupati. L’Italia si
pone parecchio in basso nella scala
dei Paesi.
Il ruolo del credito allo sviluppo
Una delle conseguenze della crisi fi-
nanziaria è la maggior difficoltà, per
le giovani start up, di ottenere credito
dalle banche,mentre i ‘venture capital’
hanno iniziato a evitare operazioni
economicamente rischiose e preferi-
scono puntare su investimenti di mag-
giore entità, considerati più stabili. Il
calo di accesso ai prestiti è significati-
vo: negli ultimi quattro anni, solo Cina
e Indocina sonomigliorate per quanto
riguardaquesto indicatore. Purtroppo,
l’Italia occupa la terzultima posizione
in questa classifica, davanti soltanto
a Irlanda e Grecia, dimostrandosi un
Paese che non incoraggia l’avvio di
nuove attività.