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perate. Non vi erano necessità di cam-

biamenti di modello di business come

invece avviene oggi perché sono cam-

biati anche i bisogni e i modi in cui inte-

ragisce il cliente stesso. Sono un insieme

di sfide complesse e difficili. Credo che

non tutte le banche ce la faranno. Sono

convinto che la vera spinta alla fusio-

ne tra banche e al consolidamento del

mercato arriverà non tanto dall’effetto

negativo delle sofferenze sul conto eco-

nomico quanto dalla capacità o meno

di seguire questa trasformazione che

richiede investimenti consistenti, anche

sul personale.”

Dottor Ghizzoni, lei parlava delle sof-

ferenze delle banche. Parliamo allora

della loro ricapitalizzazione e nella fat-

tispecie della necessità dello Stato di

intervenire nel Monte dei Paschi. Pensa

che questo potrebbe avere un effetto

con altri istituti?

“Credo che l’intervento dello Stato sia

stato tardivo, andava fatto prima e al-

largato ad altre banche del sistema.

Probabilmente ci si è lasciati un po’

fuorviare dalle nuove normative sul

Bail-In (il cosiddetto salvataggio inter-

no, applicato al 1 gennaio del 2016),

concettualmente corretto il principio

che i contribuenti non debbano paga-

re per banche in difficoltà, ma all’atto

pratico ci si è resi conto che applicare

la normativa era politicamente non ge-

stibile. Nel dibattito noi abbiamo perso

tempo mentre altri Paesi sono interve-

nuti prima. Al di là dell’intervento dello

Stato a livello di singole banche si po-

teva pensare già qualche anno fa ad

una sorta di Bad Bank di sistema, sen-

za necessariamente l’intervento della

finanza pubblica, o comunque limitato

al minimo. Però è inutile oggi guardar-

si indietro. Bene dunque che lo Stato

intervenga, sia pure in ritardo, perché

consentirà alle banche beneficiarie di

trovare una via d’uscita dalla crisi attua-

le. La sfida del sistema creditizio italia-

no non è comunque solo sulle banche

in difficoltà. Anche quelle cosiddette

solide, che per fortuna sono la maggior

parte del sistema, avranno davanti a sé

ancora alcuni anni complicati perché le

sofferenze non scompaiono da sole e

non senza sacrifici, anche rilevanti, dal

punto di vista economico”.

Dottor Ghizzoni, anche il tessuto im-

prenditoriale accusa questo momento

di debolezza del sistema creditizio. Le

nostre imprese sono troppo dipenden-

ti dalle banche? Quale sarebbe l’alter-

nativa?

“Oggi per tante ragioni, non solo re-

golamentari, non è più possibile che

la banca si sostituisca integralmente

all’imprenditore nel finanziare un pro-

getto. In questa fase è necessario che

l’imprenditore dimostri di credere nella

propria azienda e contribuisca con pro-

prio capitale allo sviluppo della propria

impresa o ad un progetto specifico. Le

imprese italiane sono troppo sotto-ca-

pitalizzate, grandi o piccole che siano,

troppo dipendenti a loro volta dal cre-

dito. Questo comporta che nel momen-

to in cui il credito scende o si riduce,

per motivi anche esterni, ad esempio la

crisi del debito sovrano per cui era im-

possibile trovare liquidità sul mercato,

se si è troppo dipendenti se ne soffre.

La globalizzazione poi impone delle

scelte forti e non rimandabili inclusa la

crescita dimensionale e l’accelerazione

del passaggio generazionale, ai fami-

gliari o ai manager. Le imprese devono

quindi prendere atto del fatto che non

sarà più come prima, devono anche lo-

ro strutturarsi per avere alternative al

puro e semplice credito bancario. Sono

assolutamente favorevole allo svilup-

po del cosiddetto capital market che in

molti Paesi, soprattutto anglosassoni, è

la vera alternativa al credito bancario.

Anche qui però occorre fare attenzio-

marzo 2017

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