novembre 2016
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Lei prima parlava anche della necessi-
tà di integrazione di culture tra le di-
verse aziende. Vi sono concetti come
la nazionalità delle imprese che ora-
mai sono completamente cambiati?
“Certamente. Già 20 anni fa lavoravo
in una multinazionale americana, il cui
numero uno era australiano, il nume-
ro due era inglese, e io dipendevo da
un capo tedesco. E oggi i nostri figli
vanno a studiare all’estero. Nel nostro
caso, confrontarsi con culture diverse è
un punto di forza. Certamente ci sono
dei rischi ma anche dei vantaggi. Da
un lato, quando si lavora in un’entità
in movimento si affrontano molte più
sfide, nell’immediato si ha un impegno
molto superiore in termini anche fisici.
Vediamola invece dall’altro punto di
vista: questa dinamicità permette di
essere flessibili a cercare sempre occa-
sioni, sia di mercato sia di innovazione.
Perdere la capacità di confrontarsi col
mercato significa perdere la clientela,
e andare a recuperare questi spazi ri-
sulta poi estremamente difficile.
Altro ragionamento è invece l’orgoglio,
la determinazione e l’attaccamento al-
le nostre aziende che in qualche modo
ci rende parte di una comunità sociale
locale. Così come mi sento cittadino del
mondo, e mi arricchisce il lavorare con
colleghi di tutto il mondo, al tempo
stesso teniamo al rapporto con il nostro
territorio, a fare bene il nostro lavoro
per dare un valore sia all’azionista sia
alle nostre famiglie, che sono radicate
in un preciso contesto. Nel nostro caso
Piacenza, che è uno degli hub italiani
nei quali si è sviluppata maggiormente
la cultura della macchina utensile”.
to il costo del lavoro, ma nei prossimi
anni non sarà più questo il terreno su
cui confrontarsi. Il fenomeno della cre-
scente innovazione tecnologica legata
al concetto di Industria 4.0 richiederà
infatti sempre meno forza lavoro. È
questo il grande cambiamento cultu-
rale a cui stiamo andando incontro.
Prima ancora delle tecnologie, sono
l’approccio e la mentalità degli uo-
mini in azienda a essere necessari per
una transizione di successo verso pro-
dotti e processi intelligenti. Il fatto che
l’occupazione si stia trasformando non
significa infatti necessariamente che
aumenterà la disoccupazione: di certo
si perderanno posti di lavoro, ma cam-
bierà il tipo di occupazione richiesto,
per cui per esempio avremo tre fresa-
tori in meno, ma tre softwaristi in più.
È dimostrato che chi investe in tecno-
logia e ricerca ne ha ritorno, anche dal
punto di vista occupazionale, in quan-
to sarà poi in grado di rispondere posi-
tivamente a un mercato che chiede ser-
vizi e prodotti ad alto valore aggiunto.
Per questo anche noi in FFG stiamo fa-
cendo i primi passi verso l’Industria 4.0
e quindi verso una produzione intelli-
gente, totalmente automatizzata e in-
terconnessa, dotando alcune delle no-
stre macchine di dispositivi e applica-
zioni per raccogliere i dati relativi alla
macchina stessa e alle lavorazioni che
svolge e successivamente analizzarli
per poi capire quali sono eventualmen-
te gli interventi richiesti”.
@lurossi_71