22
novembre 2016
elettorale (da Hillary Clinton ai numerosi
repubblicani ‘seri’ come Jeb Bush e Mar-
co Rubio) dimostra che sempre meno i
cittadini si fanno manipolare da temi
ideologici e da appelli alla loro identità
stretta, cioè al profilo di segmenti della
popolazione (come gli ispanici, le donne
o i sindacalisti). Il voto di questi gruppi
non è più scontato: conta di più la so-
stanza della politica, soprattutto per
quanto riguarda la (mancata) risposta al-
la crisi degli ultimi anni. È difficile esage-
rare l’importanza del risentimento con-
tro Wall Street e la grande finanza, rei di
aver provocato la crisi, senza subirne le
conseguenze. Questa è la visione tra gli
elettori arrabbiati, a destra e a sinistra.
E questa è la sfida per il nuovo presi-
dente, che dovrà dare presto dei segna-
li concreti di cambiamento. Su questo
punto è notevole registrare le aperture
di personaggi importanti nel mondo
progressista, da Bernie Sanders a Eliza-
beth Warren, alla collaborazione con la
nuova amministrazione su alcuni temi,
a partire dal ripristino della legge Glass-
Steagall, cioè la separazione tra banche
commerciali e banche d’affari, una rispo-
cambiamento è difficile e, in questo
caso, lo sarà ancora di più, in quanto
abbiamo un presidente eletto senza
esperienza politica e con pochi alleati
a Washington; non sarà facile sviluppa-
re e imporre una visione chiara per gli
Stati Uniti. Questo significa che un pe-
riodo di incertezza ci sarà senz’altro. A
mio avviso, l’economia occidentale e il
quadro politico internazionale sono già
in crisi; l’elezione di Trump non ne è la
causa, è il risultato. Dobbiamo vedere
se le istituzioni capiranno i motivi pro-
fondi di questo messaggio di protesta,
che si trovano nella stagnazione della
classe media e lavoratrice. E, soprattut-
to, occorre elaborare un nuovo percor-
so, senza paura”.
Secondo i dati elaborati dall’ufficio
studi della Camera di commercio di
Monza e Brianza, ci sono 2.147 realtà
italiane controllate da imprese con se-
de negli USA. L’Italia, nei primi sei me-
si del 2016, ha esportato verso gli USA
merci per un valore di circa 18 miliardi
di euro. Quali conseguenze potrà ave-
re l’impulso protezionistico di Donald
Trump sulle nostre imprese?
“Nel mondo delle élite si parla tanto del
pericolo del ‘protezionismo’, ma credo
che sia diventato un dibattito sterile e
strumentale. Se guardassimo dal punto
di vista della gente comune, potremmo
parlare non di liberismo contro protezio-
nismo, ma piuttosto di finanza e austerità
contro economia reale e investimenti. La
volontà di imprimere una svolta alla po-
litica economica americana, riducendo
il ruolo dominante della finanza di Wall
Street e rifocalizzando il Paese sui proget-
ti concreti e produttivi, non deve far pau-
ra. Anzi, forse ci vorrebbe un cambiamen-
to simile anche in Europa, dove si vedono
effetti simili a causa di decenni di politica
post-industriale. Il presidente Trump riu-
scirà davvero ad andare in questa direzio-
ne? Difficile dire, ma sappiamo che alcu-
ni suoi consiglieri hanno proprio questo
obiettivo. Di contro c’è buona parte dei
repubblicani al Congresso che rimangono
fortemente legati a una visione di liberi-
smo finanziario, che mal si concilia con lo
sviluppo capillare dell’economia reale”.
Quanto le elezioni presidenziali ame-
ricane del 7 novembre 2016 hanno
modificato il significato dei termini
democratico e repubblicano? In che
modo si sta ridefinendo la politica
americana? E quali effetti potrebbe
avere sulla politica italiana?
“È in atto un riallineamento del panora-
ma politico americano. Il fallimento to-
tale dell’establishment in questa tornata
Donald Trump con la sfidante
Hilary Clinton
e con la moglie Melania.