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rmo
gennaio/febbraio 2018
nale, pensato per elevati volume produttivi e la massima
velocità di esecuzione.
Cosa accadrà quindi? È probabile che i robot abbiano un
impatto proprio su un numero ristretto di settori, o in
specifici ambiti territoriali, dove abbondano applicazioni
produttive ripetitive in cui i robot possono sostituire gli
operatori per svolgere alcuni compiti specifici. Tuttavia
le ricerche e le analisi dicono che il saldo sarà positivo:
anche se l’automazione imporrà un cambiamento in un
certo numero di ambiti produttivi e inciderà su alcune
tipologie di professionalità, sarà anche in grado di creare
nuovi lavori meno faticosi, ripetitivi, noiosi, anzi più cre-
ativi, remunerativi e a maggior valore aggiunto, come
nell’ambito della programmazione. I robot, quindi, fi-
niranno per diventare un creatore di posti di lavoro, ma
questi saranno diversi dai lavori precedenti.
La politica scenda in campo.
La ‘robot-fobia’ riflessa
nei media ha attirato l’attenzione anche della politica.
Questa, da un lato, invita a investire in formazione per
preparare i lavoratori al lavoro di domani dall’altro ha
anche prospettato una serie di interventi molto pericolosi
e ingiusti, come la tassazione specifica per le imprese che
si dotano di automazione robotizzata.
Ovviamente è più sensato che i Governi investano in pro-
grammi di formazione e di riqualificazione per aiutare i
lavoratori ad adeguarsi ai cambiamenti degli ambienti
tecnologici piuttosto che proteggere artificialmente i
posti di lavoro che possono essere automatizzati tramite
una ‘tassa sul reddito’ offerto dai robot o altre misure
che avrebbero un effetto negativo sulla produttività ge-
nerale e sulla competitività.
posti di lavoro proprio grazie all’innovazione tecno-
logica.
I fatti certi, al di là delle legittime opinioni, sono due: la
maggior parte dei lavori richiede competenze umane
uniche e recenti studi (Arntz, Melanie, Terry Gregory,
and Ulrich Zierahn. 2016. ‘The Risk of Automation for
Jobs in OECD Countries: A Comparative Analysis’. OECD
Social, Employment and Migration Working Paper No.
189, Paris: OECD Publishing) suggeriscono che meno del
10% dei posti di lavoro possa in realtà essere completa-
mente automatizzato, limitando così il numero di posti
di lavoro che i robot potrebbero effettivamente ‘ru-
bare’ agli operatori. Il secondo fatto è che la domanda
di cobot - quindi di robot che si affiancano all’uomo per
sostenerne le attività e non per sostituirli - sta crescendo
più velocemente della domanda di robot industriali tra-
dizionali. BIS Research prevede che il mercato dei robot
collaborativi raggiungerà circa 2 miliardi di dollari entro
il 2022. Cosa se ne deduce? Semplice: in futuro è più
probabile che uomini e robot lavorino assieme piuttosto
che avvenga una reale sostituzione degli uni rispetto
agli altri.
Il lavoro cambia.
Un punto su cui tutti trovano una
convergenza tuttavia c’è: alcuni posti di lavoro scompari-
ranno, altri saranno creati dall’uso dell’automazione ro-
botizzata. Non si trova forse l’accordo sulle percentuali,
ma…c’è unma. Lamaggior parte degli studi sugli effetti
dell’automazione sull’occupazione si concentrano su re-
gioni geografiche limitate o su settori ad alta intensità
di manodopera che, per la tipologia di attività svolta, è
quella più facilmente sostituibile da un robot tradizio-
Alessio Cocchi è Sales Development manager di Universal Robots Italia, secondo il quale l’automazione modifica il lavoro non lo disperde.