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rmo

giugno/luglio 2017

il fatturato delle materie prime impiegate nella manifat-

tura additiva (resine, polveri, filamenti di plastica ecc.) è

ovviamente in crescita (422,6 milioni di dollari nel 2012,

+29,2% rispetto al 2011, +495% rispetto al 2001).

Il Wohlers Report, pubblicato annualmente a partire dal

1995 dalla Wohlers Associates Inc. fornisce alcune stime

sulle aspettative di crescita della manifattura additiva,

sulla base delle informazioni raccolte presso un panel di

21 esperti del settore: ci si attende che il fatturato possa

arrivare a 4 miliardi nel 2015, 6 miliardi nel 2017 e supe-

rare i 10 miliardi nel 2021. Decisamente più ottimistiche

le previsioni del gruppo di esperti ingaggiati recente-

mente dal Governo inglese: 100 miliardi entro il 2020.

La stampa 3D.

Nel 2012 le aziende produttrici di

stampanti 3D per uso industriale erano 33 a livello

mondiale: 16 in Europa, 7 in Cina, 5 negli Stati Uniti

e 2 in Giappone.

Una delle ragioni che spiegano l’euforia di chi evoca

l’avvio di una ‘terza rivoluzione industriale’ associata

all’avvento della manifattura additiva discende dalla

(quasi totale) assenza in essa di economie di scala: il

costo di produzione di un oggetto stampato in 3D è

(quasi) indipendente dai volumi.

Una stampante 3D può realizzare in ogni ciclo di pro-

duzione - che, nel caso del metallo, può durare anche

una decina di ore - un numero di pezzi che variano da

uno a un massimo di alcune decine o centinaia, in re-

lazione alle dimensioni dei pezzi stessi e della camera

di lavoro della stampante. In questo contesto le eco-

nomie di scala sono molto limitate: al crescere della

produzione l’andamento dei costi totali è crescente

secondo una funzione sostanzialmente lineare. Al-

cune non linearità sono presenti, ma molto ridotte

su ogni singola macchina e piuttosto limitate anche

nella messa in serie di più macchine.

Ad oggi, dunque, la manifattura additiva non è com-

petitiva sul piano dei costi nelle produzioni su larga

scala. L’assenza di economie di scala, in ogni caso, si

trasforma in un punto di forza molto importante nelle

produzioni in pezzo unico o in piccola serie: i costi

delle varianti sono sostanzialmente nulli. Il lavoro di

revisione, infatti, può avvenire sul disegno costrut-

tivo (al CAD) senza alcuna necessità di intervenire sui

macchinari; soprattutto, non è necessario predisporre

nuovi stampi, i cui costi di realizzazione sono tipica-

mente assai elevati e si giustificano solo quando la pro-

duzione da realizzare è di grandi numeri.

Valutazioni economiche.

Sotto questo profilo dun-

que la manifattura additiva metterebbe in discus-

sione l’idea tradizionale per la quale vi sarebbe un

trade-off tra produzione di massa a buon mercato,

che sfrutta le economie di scala, e produzione perso-

nalizzata ad alto costo.

Se effettivamente le economie di scala sono destinate

a contare meno nel futuro della manifattura, allora

questa è una buona notizia in particolare per le pic-

cole e medie imprese, perché comporta un drastico

ridimensionamento della componente di rischio insita

nella garanzia di un ‘lotto minimo’ capace di giustifi-

care gli investimenti in innovazione.

Inoltre, se il peso delle economie di scala si riduce, si

abbassano le barriere economiche all’entrata di nuove

imprese in mercati tradizionalmente chiusi alle realtà

imprenditoriali di piccole e medie dimensioni. La ma-

nifattura additiva, inoltre, utilizza forse uno stock di

capitale meno specifico (ossia macchinari meno specia-

lizzati); tale circostanza - se verificata - aumenterebbe

l’interscambiabilità dello stock di capitale tra i diversi

settori industriali e amplierebbe le possibilità di ricorso a

produttori terzi: ciò riduce i costi del lancio di nuovi pro-

dotti e rende più semplice e meno costoso passare da

un’idea progettuale alla fase di commercializzazione.