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rmo

maggio 2017

biamo sempre tradizionalmente venduto attraverso

agenti e distributori locali, magari con pagamento

anticipato. In questi anni, però il business in Russia è

cambiato radicalmente. Le sanzioni hanno costretto

i russi a svegliarsi e occuparsi di tecnologie e a dare

più spazio a chi investiva e apriva produzioni in loco,

magari in joint venture con aziende locali. In Russia

si contano complessivamente 400 aziende italiane

(comprese le filiali commerciali). I tedeschi sono 3.000

da prima delle sanzioni e organizzati in joint venture

o stabilimenti con parti di lavorazione sul posto. Ad

esempio, per il settore dell’oil&gas, cosa che noi con

i nostri distretti non siamo riusciti a fare. Localiz-

zando le produzioni e utilizzando capitali misti, que-

ste imprese non sono state toccate (o lo sono state

marginalmente) dalle sanzioni. Ragionando in rubli

hanno anche retto meglio la crisi economica. Mentre

il nostro modello di business ci ha penalizzati molto

di più. I rappresentanti di altri Paesi - ha concluso Fer-

lenghi - sono riusciti ad adattarsi velocemente a que-

sti cambiamenti, come i francesi che nel 2016 hanno

addirittura aumentato il volume degli investimenti.

O i cinesi, che hanno sostituito con successo impren-

ditori europei”.

L’Italia nel 2013 figurava come il secondo esportatore

verso la Federazione Russa fra i Paesi dell’Unione Eu-

ropea (subito dopo la Germania) con 10,8 miliardi di

euro di vendite verso Mosca. Nel 2014, il calo dell’ex-

port era del 25,4%; l’anno dopo la diminuzione si

fissava a -11,8%, mentre il 2016 si è concluso con un

ammontare di esportazioni di 6,5 miliardi, vale a dire

il -8,3% sul 2015.

Adesso parte la sfida per recuperare il terreno perduto,

i nostri imprenditori dovranno risalire la china in con-

dizioni non certo facili: altri concorrenti, provenienti

dai più svariati Paesi, hanno occupato, nel frattempo,

gli spazi lasciati liberi; e ci si dovrà confrontare in al-

cuni comparti (tipicamente il food&beverage) anche

con l’invasione di prodotti finto-italiani che hanno

rimpiazzato le nostre merci. L’augurio è che il Made

in Italy possa tornare ad affermarsi puntando su quelli

che sono sempre stati i suoi punti di forza: la qualità,

l’originalità e la bellezza.

per l’effetto delle sanzioni commerciali sia per ulteriori

criticità come la notevole diminuzione del prezzo del

petrolio e la notevole svalutazione del rublo.

Risalire la china.

Per il nostro Paese, stando ad alcune

analisi, la difficile situazione russa è costata qualcosa

come 4 miliardi di euro e circa 80.000 posti di lavoro:

non sarà una cosa semplicissima poter risalire questa

china. Le nostre filiere produttive hanno pagato un

conto salato: il settore tessile/calzature ci ha rimesso

un miliardo, la meccanica strumentale 700 milioni e il

food 300 milioni.

Naturalmente, il nostro Paese non è stato l’unico a su-

bire le ripercussioni della difficile situazione che stiamo

descrivendo, infatti alcuni centri studi internazionali,

stimano che le nazioni dell’Unione Europea abbiano

perso negli ultimi anni qualcosa come 44 miliardi di

esportazioni e circa 900.000 posti di lavoro.

Ancora i dati delle dogane russe, elaborati dall’ICE di

Mosca, ci raccontano che da gennaio a ottobre del 2016,

le esportazioni degli Stati Uniti d’America sono diminu-

ite del 6,1% quelle della Germania del 6,2%, mentre

la Francia ha fatto registrare un incremento del +48%.

Il business è cambiato.

“Noi italiani - ha detto il

presidente di Confindustria Russia, Ernesto Ferlenghi,

in una dichiarazione apparsa su Il Sole 24 Ore - ab-