Italy is at the bottom of the rankings for
hourly productivity in the workplace.
Over the last twenty years, growth in
hourly productivity in our country has
averaged 5%. During the same period,
in the United States, this parameter was
eight times higher, fully 40%. In France,
Britain and Germany it was six times
higher. Even Spain and Portugal have
done better in the past twenty years: 15%
in Spain and 25% in Portugal, three and
five times higher, respectively. Italy is
lagging behind in Europe. In 2015 hourly
productivity decreased by 0.3% while
increasing on average by 1.6% in the
other countries of the European Union
and 1.1% in the Eurozone. This troubling
situation has prompted experts to study
the reasons and to come up with some
solutions.
One might think that the stagnation of
Italian productivity depends on poor
output growth, and that, therefore,
everything derives from European
constraints that impede the relaunch
of effective demand through a deficit
in public spending. However, the case
of Spain, where productivity has been
growing since 2008, justifies reasonable
doubts in this regard. More generally,
the theory that growth in productivity
depends on output growth is belied
by data from 1981 to 2016 for 46
developed/developing countries whose
GDP accounts for 49% of the world
total as of 2016. The recent updating
of third quarter GDP (Istat) indicates
an increase of 0.9%. What needs to
happen is to increase productivity on the
supply side (human capital, investment,
innovation of production processes and
products, system efficiency): certainly not
a short or even medium-term prospect...
Productivity, Italy in last
place in the EU
marzo 2017
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L ’
Italia è nei fondi delle classi-
fiche per la produttività ora-
ria sul posto di lavoro. Nel
corso dell’ultimo ventennio, nel nostro
Paese la crescita è stata, appunto in ter-
mini di produttività oraria, mediamen-
te del 5%. Nello stesso lasso di tempo,
negli Stati Uniti questo parametro è
stato ben otto volte superiore, ovvero
del 40%. In Francia, Gran Bretagna e
Germania sei volte di più. Anche Spa-
gna e Portogallo hanno fatto di meglio
negli ultimi venti anni: 15% in Spagna,
tre volte più rispetto all’Italia, mentre
25% in Portogallo, cinque volte di più.
L’Italia è fanalino di coda in Europa, nel
2015 la produttività oraria è diminuita
dello 0,3% mentre aumentava in media
dell’1,6% negli altri Paesi dell’Unione
Europea e dell’1,1% nell’Area Euro. La
situazione preoccupante ha spinto al-
cuni esperti a studiarne le ragioni e a
proporre delle soluzioni.
Le possibili cause del fenomeno
Si potrebbe pensare che la stagnante
produttività italiana dipenda dalla scar-
sa crescita del prodotto. E che, quindi,
tutto discenda dai vincoli europei che
impediscono di rilanciare la doman-
da effettiva mediante spesa pubblica
in deficit. Il caso della Spagna, dove
la produttività aumenta dal 2008, au-
torizza però fondati dubbi a questo
riguardo. Più in generale l’ipotesi di
crescita della produttività dipendente
dalla crescita del prodotto è smentita
con dati dal 1981 al 2016 per 46 Paesi
sviluppati e in via di sviluppo il cui PIL
rappresenta il 49% del totale mondia-
le nel 2016. Il recente aggiornamento
del terzo trimestre del PIL (fonte Istat)
indica un incremento dello 0,9%. Si
tratta così di aumentare la produttivi-
tà dal lato dell’offerta (capitale umano,
investimenti, innovazione dei processi
produttivi e dei prodotti, efficienza del
sistema): una prospettiva non certo di
breve e nemmeno di medio periodo. La
produttività oraria subisce un rallenta-
mento della crescita dal 2007 in tutti i
Paesi, meno che in Spagna dove però
era rimasta stagnante in tutto il decen-
nio precedente. La situazione peggio-
re si ha in Grecia, dove il livello della
produttività oraria del lavoro continua
a diminuire. Ma dopo la Grecia viene
l’Italia, con una produttività staziona-
ria dal 2000 e in lento calo dal 2013.
In tal modo la produttività italiana è
stata raggiunta da quella spagnola e
il distacco con i Paesi più avanzati sta
diventando grave. Si può ricordare che
dal 1991 al 1997 esso era decisamente
contenuto. Notevole è il caso degli Sta-
ti Uniti, il cui livello della produttività
ha superato, proprio dal 2008, quello di
Francia e Germania mentre prima del
2003 era inferiore.
In Italia il settore dei servizi è, in ter-
mini dimensionali, inferiore rispetto
a quello degli Stati Uniti, del Regno
Uniti e di altri Paesi europei. Si può so-
spettare che una parte delle ore lavo-
rate produca beni e servizi non stimati
perché offerte in ‘nero’. L’Italia ha in
sé una forte componente di economia
sommersa, ma non è l’unico caso (si
pensi ad esempio alla Spagna e al Por-
togallo). Inoltre non è affatto ovvio che
l’economia sommersa sia cresciuta così
tanto in Italia dalla metà degli anni no-
vanta. Anzi la recente riforma del mer-
cato del lavoro e la defiscalizzazione
contributiva per i nuovi assunti hanno
semmai limitato l’incentivo di alcune
imprese a lavorare in ‘nero’.
Nanismo e istruzione bassa
La aziende piccole tendono - in media
ma non sempre - ad essere meno pro-
duttive di quelle grandi. Queste ulti-
me possono infatti sfruttare meglio le
economie di scala e la specializzazione
all’uso della forza lavoro. Se non lo fan-
no la produttività ristagna. L’86% delle
nostre imprese è di proprietà familia-
re. In Germania il 90%. Ma mentre in
Germania meno del 30% delle imprese
familiari è gestito da membri della fa-
miglia – le altre da manager professio-
nisti -, in Italia quasi il 70% è gestito in
famiglia. In questo caso però non tutti
concordano sull’impatto negativo del
fenomeno italiano. Inoltre, l’insuffi-
ciente sviluppo dei nostri mercati finan-
ziari comporta il fatto che occorra ope-
rare con più capitali propri.
Fabiano Schivardi e Tom Schmitz (2016)
sostengono che le imprese italiane non