marzo 2016
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incontrare delle condizioni particolari che
necessitino di un fabbisogno finanziario
che l’autofinanziamento non è in grado di
fornire e, per un periodo, dovesse esserci
un fabbisogno finanziario superiore, noi
saremmo anche pronti a considerare la
creazione di un flottante. Quindi oggi non
è una preclusione l’ingresso in Borsa, sem-
plicemente attualmente non è una neces-
sità. È bene fare le cose solo quando sono
necessarie. Naturalmente se lo facessimo,
lo faremmo con un flottante tale da non
precludere la possibilità di continuare ad
avere il modello di impresa che abbiamo
attualmente. Quindi essere una ‘stakehol-
der company’ con tutte le conseguenze
del caso: ossia pagare di più la materia
prima ai produttori, ai collaboratori ecc.
Ma anche un orientamento a lungo ter-
mine che rende possibile un sacrificio della
reddittività nel breve termine a favore del
lungo termine ove fosse necessario”.
Presidente, Illicaffè è situata a Triste ossia
in una zona di confine: avete mai pensato
a delocalizzare?
“Una marca, in particolare se è una marca
di alta gamma e quindi con una forte dif-
ferenziazione di prodotto, deve la sua uni-
cità alle radici. Quindi le radici non si pos-
sono nè tagliare né indebolire. E neppure
si può pensare di andare a sradicare un’at-
tività e impiantarla da un’altra parte. Le
radici, una volta sradicate, muoiono. Trie-
ste è una capitale del caffè, storicamente
legata all’influenza culturale sia di Vienna
sia di Venezia, caratterizzata dalla sua po-
sizione geografica: è il porto più centrale
in Europa, in linea diretta con il Canale
di Suez da dove proviene circa il 50% del
caffè prodotto nel mondo, con fondali tali
da sfruttare molto bene questo vantag-
gio, con una baia ben protetta dai venti
ecc. In Europa si consuma la metà del caffè
prodotto nel mondo e la metà di questo
arriva nel vecchio Continente appunto at-
traverso il Canale di Suez. A Trieste siamo
nati per motivi storici e qui dobbiamo ri-
manere. Ciò detto si possono aprire centri
di eccellenza qua e là nel mondo, come
stiamo facendo per altro”.
Nel 1999 avete creato l’Università del
caffè. Che valore ha per voi la formazione
delle giovani generazioni e la valorizzazio-
ne dei giovani talenti?
“I saperi devono tramandarsi. Ad esempio
quello dell’orafo, del calzolaio, del sarto,
del soffiatore del vetro sono saperi artigia-
nali, che hanno una forte componente di
ingegno e manualità, devono tramandarsi
da padre in figlio altrimenti si inaridisce
l’humus produttivo di questo Paese. Que-
sta è un’area di miglioramento dell’Italia.
Oggi, l’industria della bellezza dà lavoro a
mezzo milione di occupati ma c’è un de-
ficit di offerta di maestranze italiane qua-
lificate di più di 100mila persone. Quindi
le aziende devono fare ricorso o alla delo-
calizzazione o alla assunzione di stranieri
per fare questi lavori: questo è pericoloso
perché inaridisce le nostre competenze e
le trasferisce a degli stranieri che poi tor-
nano in patria dopo aver imparato il lavo-
ro da noi. In parte è un processo naturale,
se si trasferiscono competenze al di fuori
del proprio Paese ma nel medesimo si
continua a mantenerle forti va bene, se al
contrario si trasferiscono senza garantirne
anche la continuità in loco si fa un danno
al Paese. Da un altro lato ci sono più del
10% di Need, un problema che non è solo
economico ma anche sociale.
In mezzo a questa domanda ed offerta,
che non si incontrano, c’è il sistema dell’E-
ducation che in Italia è molto complicato.
Le scuole professionali sono quelle che
formano le maestranze e sono gestite di-
rettamente dalle Regioni coi finanziamen-
ti che provengono dall’Unione Europea.
Gli istituti tecnici sono quelli che formano
i periti, ossia coloro che sono i supervisori
delle maestranze, sono gestiti dal Governo
centrale ossia dal Ministero dell’Istruzione
e Ricerca. Per i formatori dei periti esiste
una nuova legge che non ha veramente
ancora preso piede. Questo sistema, nella
sua complessità, non è competitivo ed ef-
ficace come ad esempio quello tedesco. E
allora bisogna cercare di ricorrere sempre
di più alla formazione nel privato. Questo
spiega perché noi abbiamo dato vita all’U-
niversità del caffè. Questo spiega anche
perché come Altagamma abbiamo un pro-
getto, che speriamo posso concretizzarsi,
di una scuola nazionale del saper fare ita-
liano da insediare nell’ex Area Expo”.
@ lurossi_71
I saperi non devono disperdersi ma tramandarsi per
Andrea Illy. Ecco perché è stata creata l’Università del caffè.