novembre 2014
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la sede centrale dei siti produttivi pre-
cedentemente delocalizzati: si chiama
near-reshoring. Ecco che allora l’Italia sta
diventando Paese meta di questo feno-
meno. Uno dei casi più eclatanti degli ul-
timi anni è quello di Ikea, il colosso sve-
dese, che ha portato in Piemonte alcune
produzioni che aveva precedentemente
localizzato in Asia per un mix di fattori
positivi: tempo, logistica, qualità del la-
voro e salari.
Anche alla luce di tutto questo, appare
particolarmente importante affronta-
re la questione ‘Made in’, il tentativo
a livello di Unione Europea di imporre
un’etichettatura che indichi la prove-
nienza del prodotto. Su 28 Stati mem-
bri, solo 17 sono favorevoli a questo
provvedimento, che di conseguenza sta
tenendo banco in ambito europeo. Si
tratta di un valido strumento per tutela-
re l’eccellenza del manifatturiero, anche
Quali sono i settori che beneficerebbero
maggiormente da un ritorno nel nostro
Paese?
“A livello di manifatturiero italiano nel
suo complesso, sicuramente il settore
dell’abbigliamento e delle calzature,
che di fatto è anche il primissimo in
termini di dimensioni del fenomeno di
back-reshoring. Per queste categorie
merceologiche, la garanzia di prodot-
to del vero ‘Made in Italy’ è sinonimo
di qualità. Diciamo che in questi settori
l’eccellenza italiana è un fatto incon-
trovertibile e riconosciuto universal-
mente. Ma il fatto che l’elettrotecnica
e l’elettronica, rappresentate da Anie,
costituiscano il 20% del fenomeno in
Italia dimostra che anche in campo tec-
nologico l’Italia può dire davvero la sua.
Dobbiamo poi considerare l’importanza
di una forma particolare di reshoring,
ovvero l’avvicinamento geografico al-
in un’ottica di libera e trasparente con-
correnza nei confronti dei Paesi emer-
genti, che sono diventati i nostri princi-
pali competitor a livello produttivo”.
Quale la ricetta che dovrebbe adottare
il nostro attuale governo per favorire gli
investimenti nel nostro paese e il back-
reshoring?
“La priorità deve essere sicuramen-
te quella di ridurre il cuneo fiscale che
grava sulle imprese italiane e snellire le
tante procedure burocratiche a cui sia-
mo ogni giorno sottoposti. Per il back-
reshoring, in particolare, Anie propone
di detassare tutti gli importi investiti da
parte di chi decide di riportare le attivi-
tà produttive in Italia, e poi occorre de-
finire dei vincoli di tutela del prodotto
italiano più stringenti. La sostenibilità
ambientale e il miglioramento delle
performance energetiche, inoltre, do-
vrebbero diventare un meccanismo di
stimolo della nostra economia, in nome
di quella green economy che potrebbe
costituire il volano della ripresa italiana.
Al contrario, invece, l’Esecutivo decide di
varare misure quali lo spalma-incentivi,
che inevitabilmente affosserà l’industria
delle rinnovabili già decisamente in sof-
ferenza in questi anni di recessione. Non
ultimo occorre stimolare il ricorso ai fon-
di di finanziamento messi a disposizione
dall’Unione europea, come il program-
ma Horizon 2020, per non finire agli
ultimi posti della classifica dei Paesi eu-
ropei per capacità di spesa, come è suc-
cesso con l’ultimo Programma Quadro. E
poi potenziare le sinergie tra pubblico e
privato, a partire da quella che dovreb-
be essere la principale risorsa del nostro
Paese: le aziende a partecipazione sta-
tale, che devono diventare le leve per lo
sviluppo degli asset industriali strategici.
Perché senza manifattura il Paese muo-
re. La new economy basata solo sulla
finanza e sui servizi si è rivelata una chi-
mera: la nostra economia può ripartire
solo dalla fabbrica. Ed è ora che tutti gli
attori coinvolti lavorino in sinergia per
raggiungere questo obiettivo”.