novembre 2014
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la specializzazione delle sue aziende e
del loro capitale umano, che con la loro
competenza sapranno fornire un valore
aggiunto che, sono certo, sarà premian-
te. In comparti come quelli rappresentati
da Anie Confindustria, inoltre, stare al
passo con i tempi che corrono è requisito
imprescindibile per battere la concorren-
za: gli investimenti in ricerca e innova-
zione, nel nostro campo, sono essenziali.
Ed ecco allora che le aziende rientrano
in patria per la vicinanza con i centri di
ricerca italiani. Senza dimenticare, poi, i
costi di produzione: le imprese che han-
no intrapreso processi di delocalizzazio-
ne produttiva all’estero pensavano che
i vantaggiosi costi del lavoro in alcuni
Paesi, quali per esempio quelli asiatici,
fossero una fonte di risparmio notevole.
Di fatto, in pochi sono andati ad Est per
soddisfare reali esigenze del mercato
locale. In ogni caso, qualcuno comincia
a rendersi conto che il gioco non vale la
candela: il minor costo del lavoro non è
abbastanza, a fronte di spese di logistica
e costi di produzione totali ben maggiori
all’estero. Anche in questi Paesi, per al-
tro, il costo del lavoro è in aumento”.
Quali sono gli elementi che indurrebbero
le imprese a tornare in Italia?
“Il sentiment si sta diffondendo sempre
di più: tornare a produrre in Italia non
è utopistico. Qualcuno ha già iniziato
a farlo, altri lo farebbero se si creassero
le condizioni per poter lavorare: abbat-
timento della pressione fiscale e della
burocrazia, detassazione degli utili rein-
vestiti in ricerca e innovazione, valorizza-
zione del know-how tecnologico e della
qualità del Made in Italy, promozione
degli asset strategici del Paese. Parliamo
per esempio della pressione fiscale che
attanaglia le nostre aziende: quella reale
è al 55%, che sale al 68,3% per le impre-
se. È come se ogni azienda avesse un so-
cio (lo Stato), che non aiuta e pretende il
68% degli utili. Come si può non fallire?
Sometimes they
come back ...
The companies that have relocated are
thinking of returning to produce their
wares in Italy. Why would they return?
We asked Andrea Claudio Gemme,
president of Anie Confindustria: “The
reasons why Italian companies decide
to bring their production back home are
varied, but undoubtedly the main one is
the maintenance and control of quality.
In an increasingly global, and thus
more ruthlessly competitive market,
Italian companies are distinguished
by the excellence of ‘Made in Italy’, a
label that has always been a guarantee
of quality and excellence, not only in
the three traditional ‘F’s (food, fashion
and furniture), but also in information
technology. The future of industry is
ensured by the specialization of its
companies and their human capital,
whose expertise will provide an added
value that I am sure will bring rewards.
In sectors such as those represented
by Anie Confindustria, moreover,
keeping up with the times we live is a
prerequisite for beating the competition:
investment in research and innovation
in our field is essential. So, this is why
companies return home, to be closer
to the Italian research centers. Not to
mention the question of production
costs: firms that have relocated their
production abroad thought that the
advantageous labor costs in some
countries, particularly in Asia, were a
source of substantial savings. In fact,
very few have gone to the East and
managed to meet the real needs of the
local market. In any case, people are
starting to realize that it is not worth
the trouble: the lower cost of labor is not
enough to compensate for the far greater
logistics and total production costs
abroad. Because even in these countries,
the cost of labor is increasing”.