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novembre 2014

29

la specializzazione delle sue aziende e

del loro capitale umano, che con la loro

competenza sapranno fornire un valore

aggiunto che, sono certo, sarà premian-

te. In comparti come quelli rappresentati

da Anie Confindustria, inoltre, stare al

passo con i tempi che corrono è requisito

imprescindibile per battere la concorren-

za: gli investimenti in ricerca e innova-

zione, nel nostro campo, sono essenziali.

Ed ecco allora che le aziende rientrano

in patria per la vicinanza con i centri di

ricerca italiani. Senza dimenticare, poi, i

costi di produzione: le imprese che han-

no intrapreso processi di delocalizzazio-

ne produttiva all’estero pensavano che

i vantaggiosi costi del lavoro in alcuni

Paesi, quali per esempio quelli asiatici,

fossero una fonte di risparmio notevole.

Di fatto, in pochi sono andati ad Est per

soddisfare reali esigenze del mercato

locale. In ogni caso, qualcuno comincia

a rendersi conto che il gioco non vale la

candela: il minor costo del lavoro non è

abbastanza, a fronte di spese di logistica

e costi di produzione totali ben maggiori

all’estero. Anche in questi Paesi, per al-

tro, il costo del lavoro è in aumento”.

Quali sono gli elementi che indurrebbero

le imprese a tornare in Italia?

“Il sentiment si sta diffondendo sempre

di più: tornare a produrre in Italia non

è utopistico. Qualcuno ha già iniziato

a farlo, altri lo farebbero se si creassero

le condizioni per poter lavorare: abbat-

timento della pressione fiscale e della

burocrazia, detassazione degli utili rein-

vestiti in ricerca e innovazione, valorizza-

zione del know-how tecnologico e della

qualità del Made in Italy, promozione

degli asset strategici del Paese. Parliamo

per esempio della pressione fiscale che

attanaglia le nostre aziende: quella reale

è al 55%, che sale al 68,3% per le impre-

se. È come se ogni azienda avesse un so-

cio (lo Stato), che non aiuta e pretende il

68% degli utili. Come si può non fallire?

Sometimes they

come back ...

The companies that have relocated are

thinking of returning to produce their

wares in Italy. Why would they return?

We asked Andrea Claudio Gemme,

president of Anie Confindustria: “The

reasons why Italian companies decide

to bring their production back home are

varied, but undoubtedly the main one is

the maintenance and control of quality.

In an increasingly global, and thus

more ruthlessly competitive market,

Italian companies are distinguished

by the excellence of ‘Made in Italy’, a

label that has always been a guarantee

of quality and excellence, not only in

the three traditional ‘F’s (food, fashion

and furniture), but also in information

technology. The future of industry is

ensured by the specialization of its

companies and their human capital,

whose expertise will provide an added

value that I am sure will bring rewards.

In sectors such as those represented

by Anie Confindustria, moreover,

keeping up with the times we live is a

prerequisite for beating the competition:

investment in research and innovation

in our field is essential. So, this is why

companies return home, to be closer

to the Italian research centers. Not to

mention the question of production

costs: firms that have relocated their

production abroad thought that the

advantageous labor costs in some

countries, particularly in Asia, were a

source of substantial savings. In fact,

very few have gone to the East and

managed to meet the real needs of the

local market. In any case, people are

starting to realize that it is not worth

the trouble: the lower cost of labor is not

enough to compensate for the far greater

logistics and total production costs

abroad. Because even in these countries,

the cost of labor is increasing”.