fluidotecnica 383
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SETTEMBRE
2014
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secondo gli standard Cetop: sono
già nove i centri che abbiamo certi-
ficato, e ad ora hanno formato circa
240 tecnici. Insieme all’Inghilterra,
siamo in Europa uno dei Paesi più
impegnati nella certificazione dei
centri formativi. E questo è impor-
tante per due motivi: da un lato nel
nostro comparto non sono richiesti
particolari requisiti o patentini per
operatori e allora i centri offrono
l’assicurazione alle aziende di tro-
vare candidati che hanno avuto un
certo tipo di formazione; dall’altro
lato, accresce la competenza e la
consapevolezza del settore, ren-
dendo i giovani più appetibili per
le imprese”.
Quali altri servizi offrite alle aziende
associate?
“Oltre ai servizi statistici, ogni anno
stipuliamo numerose convenzioni
con aziende che offrono servizi ai
nostri associati con condizioni a-
gevolate, allo stesso tempo grazie
alle cosiddette ‘giornate Assofluid’
organizziamo incontri periodici per
approfondire tematiche molto di-
verse, dall’interpretazione di leggi
specifiche, all’ambito fiscale sino
a tematiche più tecniche. L’asso-
ciazione è inoltre impegnata sul
fronte tecnico partecipando ai lavori
normativi in sede ISO e UNI all’in-
terno della commissione specifica
per la Potenza Fluida e redigendo
posizioni e linee guida in merito
alle principali Direttive Europee che
influenzano il nostro settore. Allo
stesso tempo la partecipazione al
gruppo tecnico Federmacchine ci
consente di lavorare a stretto con-
tatto con chi rappresenta buona
parte dei nostri clienti trasferendo le
informazioni ai nostri associati. Per
quanto riguarda l’area formazione
e didattica, oltre alle iniziative già
citate Assofluid redige manuali e
dispense per spiegare i principi e le
principali applicazioni dei nostri pro-
dotti, uno degli obiettivi di questo
consiglio è di rinnovare e aggiornare
questi importanti strumenti”.
Sul fronte dell’innovazione, come
affiancate le vostre associate?
“Anche su questo fronte la piccola
dimensione delle aziende italiane
rappresenta un ostacolo, non solo
per la minor capacità di investire
in attività di R&D ma anche per la
gestione dell’innovazione stessa.
Compito chiave dell’associazione è
favorire la collaborazione con en-
ti e istituti di ricerca e università
superando una certa ritrosia nel
condividere la propria conoscenza
per sviluppare soluzioni ‘insieme’
ad altri soggetti esterni all’azienda.
Occorre un cambiamento radicale
nell’approccio: innovare non signi-
fica solo investire in macchinari e
tecnologie ma anche nel migliorare
l’organizzazione e il metodo stesso
che sta dietro al processo innova-
tivo. L’innovazione deve diventare
sistematica e continua: oggi non
basta innovare ma bisogna essere
veloci a farlo e costanti. Le dò un
dato: da uno studio effettuato da
ricercatori russi intorno agli anni
cinquanta, che aveva come obiettivo
la catalogazione delle invenzioni
attraverso la classificazione dei bre-
vetti, è emerso che se si guarda a
tutti i brevetti esistenti, oltre il 90%
di essi sono semplici miglioramen-
ti di invenzioni già preesistenti o
riguardano l’utilizzo di uno stesso
principio in un settore differente.
Questo significa che quando ci si
presenta un nuovo problema, pro-
babilmente è già stato risolto da
un’azienda in un altro settore.
Cambia allora completamente l’ap-
proccio strutturato all’innovazione,
per cui non serve tanto arruolare un
inventore, quanto magari persone
che sappiano cercare e analizzare
i brevetti. Come vede anche in
questo caso la gestione delle infor-
mazioni rappresenta una leva strate-
gica per aumentare la competitività
aziendale e credo che a tendere
sarà proprio la gestione della co-
noscenza, il cosiddetto ‘knowledge
management’ a rappresentare uno
degli asset principali delle aziende,
a prescindere dal settore di appar-
tenenza”.