55
rmo
novembre/dicembre 2015
moderata ripresa della domanda interna, ripresa confer-
mata dal forte incremento delle importazioni di prodotti
metalmeccanici che nei primi sei mesi dell’anno sono cre-
sciute del 14,2%.
Bene l’export, ma non è tutto.
I flussi esportativi metal-
meccanici sono aumentati fortemente verso gli Stati Uniti
(+32,5%) che risulta essere il secondo Paese importatore,
alle spalle della sola Germania. Sono aumentati i flussi
verso il Giappone (+29,2%), la Spagna (+9,1%) e il Regno
Unito (+10,1%). Conformemente all’evoluzione dell’atti-
vità produttiva metalmeccanica di Francia e Germania, so-
stanzialmente stagnante, le esportazioni versoquesti Paesi
si sono confermate sugli stessi livelli del 2014. Andamenti
negativi si sonoavuti con laCina (-10,2%) e, inmisuramag-
giore, con la Russia (-30,1%).
I dati osservati evidenziano, dunque, a partire dall’ultimo
trimestre del 2014, un modesto miglioramento della con-
giuntura metalmeccanica, “che appare tuttora insuffi-
ciente a recuperare anche solo parte di quanto perso nel
corso della precedente fase recessiva” ha commentato
StefanoFranchi, direttoregeneraledi Federmeccanica. “Se
è vero che dopo circa sette anni di caduta quasi costante
della produzione metalmeccanica ci troviamo di fronte a
parziali segnali di miglioramento della congiuntura set-
toriale, tuttavia il consolidamento della ripresa in atto di-
penderà oltre che da fattori interni anche dall’evoluzione
dell’economia mondiale, su cui gravano il rallentamento
dell’economia cinese, l’instabilità finanziariadi quell’areae
l’eventuale conseguente guerra delle valute che potrebbe
scaturirne”.
Analisi del periodo 2007-2014.
Stefano Franchi ha
quindi espresso molta cautela e, ancora una volta, ha
rimarcato con preoccupazione il pesante calo della pro-
duzione manifatturiera registrato negli ultimi sette anni.
“Nel periodo 2007-2014 si è perso circa un terzo della
produzione metalmeccanica, un quarto della capacità
produttiva e la ricchezza prodotta, misurata con il valore
aggiunto a prezzi costanti, è crollata dai circa 120miliardi
di euro agli attuali 98 miliardi, con una contrazione pari
a circa 18 punti in termini percentuali. Il calo della pro-
duzione metalmeccanica ha interessato in modo diffuso
tutti i comparti dell’aggregato anche se in misura diffe-
renziata, ma comunque tutti superiori al 20%. Si passa,
infatti, da unminimo del -20,9%nella produzione di altri
mezzi di trasporto, al -43,8% nella produzione di mac-
chine e apparecchi elettrici. Infine, i livelli occupazionali
sono diminuiti di oltre di 250.000 unità. Sono numeri di
una guerra, senza che ci sia stata una guerra. Niente sarà
più come prima. Non è una crisi ma una transizione da
una fase ad un’altra. è necessario quindi dare avvio ad
un’opera di vera e propria ricostruzione con un’azione
riformatrice di rinnovamento”.
A tali risultati ha contribuito la caduta della domanda in-
terna per beni d’investimento in macchine e attrezzature.
Inoltre, nonostante la tenuta della domanda estera, la
perdita di competitività dell’economia italiana ha ridotto
in modo significativo le quote di mercato mondiale dei
nostri prodotti metalmeccanici. Dal 2007 al 2014, infatti,
per i metalli e i prodotti in metallo si è passati dal 4,7% al
4%; per i computer, apparecchi elettronici e ottici dall’1%
allo 0,7%; per le macchine e apparecchi elettrici dal 5,3%
al 3,7%; per le macchine e apparecchi meccanici dal 7,3%
al 6,6% e infine per i mezzi di trasporto dal 3,4% al 2,7%.
La ridotta capacità di competere è anche conseguenza di
un incremento più elevato del Clup (Costo del lavoro per
unità di prodotto) nel nostro Paese rispetto ai nostri prin-
cipali concorrenti. In Italia, infatti, dal 2000 a oggi il Clup
nell’industriamanifatturiera è cresciutodel 34,7%, mentre
in Francia solo del 2,3%; in Germania e Regno Unito, al
contrario, si è registrataunadiminuzione, rispettivamente,
dello 0,2%e del 5,4%.
Dinamica salariale.
“Sui nostri livelli di competitività
-ha spiegato Alberto Dal Poz, vicepresidente di Feder-
meccanica- hanno inciso negativamente molteplici fat-
tori. Da un lato, una dinamica salariale completamente
slegata dagli andamenti produttivi e reddituali delle
aziende: le retribuzioni nominali, infatti, sono cresciute
del 23,6% nel periodo 2007-2014, mentre, nello stesso
arco temporale, la ricchezza delle nostre imprese scen-
deva del 18%. Dall’altro, il permanere di un cuneo fi-
scale che determina costi elevati per i datori di lavoro e
redditi contenuti per i lavoratori, sui quali incide inoltre
un fiscal drag che riduce fortemente le dinamiche reali
delle retribuzioni nette.
“L’alleggerimento del cuneo fiscale, la decontribuzione
e la detassazione del salario aziendale legato ai risultati,
anche per le quote non contrattate - ha continuato Dal
Poz - determinerebbero un abbassamento del costo del
lavoro e un miglioramento della produttività, necessari a
recuperare almeno una parte dei livelli di competitività
persi nel corso degli ultimi anni”.