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RMO 197 – giugno/luglio – 2016

Le aziende italiane tornano nel Bel Paese

C’è stata un epoca, non pochi anni fa, nella quale la delocalizzazione sembrava la nuova frontiera del manifatturiero italiano. Era l’Eldorado della old economy. Per competere in un mondo globalizzato occorreva soprattutto ridurre il costo del lavoro e dell’energia, spostando le lavorazioni in Paesi dove questi due parametri erano decisamente più bassi rispetto all’Italia. Ora, molte aziende stanno ripercorrendo il cammino al contrario. È il fenomeno del cosiddetto reshoring, al quale il CER (Centro Europa Ricerche) con il sostegno di Unindustria dedica un approfondimento. I dati del rapporto indicano in oltre un centinaio le imprese che hanno deciso una rilocalizzazione produttiva in Italia. Secondo lo spaccato realizzato dal CER, la maggior parte delle imprese interessate dal reshoring aveva delocalizzato le produzioni soprattutto in Cina (nel 34% dei casi) e nell’Europa dell’Est (nel 26,7% dei casi). In questo ranking segue poi l’Europa Occidentale (17%), l’Asia (15%) e con percentuali esigue il Nord Africa e Medio Oriente e l’America. Tra i settori industriali spiccano quello del tessile-abbigliamento (con circa il 43% dei casi di ritorno), delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (poco meno del 21%) e della meccanica (8,9%). Il ritorno in Italia non è, ovviamente, un’operazione semplice da realizzare. Chi in passato ha delocalizzato all’estero trova delle difficoltà iniziali soprattutto in un periodo di crisi e di margini compressi. Su queste aziende, secondo il rapporto del CER, l’effetto positivo del Made in Italy assume però un ruolo preponderante rispetto a quello derivante dal risparmio nei costi di produzione e segnala un innalzamento del target di riferimento delle imprese verso fasce di consumatori a elevato potenziale di acquisto.

Luca Rossi



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