EDITORIALE
Le aziende
italiane
tornano
nel
BelPaese
C’è stata un epoca, non pochi anni fa, nella quale la delocalizzazione sem-
brava la nuova frontiera del manifatturiero italiano. Era l’Eldorado della
old economy. Per competere in un mondo globalizzato occorreva soprat-
tutto ridurre il costo del lavoro e dell’energia, spostando le lavorazioni
in Paesi dove questi due parametri erano decisamente più bassi rispetto
all’Italia. Ora, molte aziende stanno ripercorrendo il cammino al contrario.
È il fenomeno del cosiddetto reshoring, al quale il CER (Centro Europa
Ricerche) con il sostegno di Unindustria dedica un approfondimento. I dati
del rapporto indicano in oltre un centinaio le imprese che hanno deciso
una rilocalizzazione produttiva in Italia.
Secondo lo spaccato realizzato dal CER, la maggior parte delle imprese
interessate dal reshoring aveva delocalizzato le produzioni soprattutto in
Cina (nel 34% dei casi) e nell’Europa dell’Est (nel 26,7% dei casi). In que-
sto ranking segue poi l’Europa Occidentale (17%), l’Asia (15%) e con
percentuali esigue il Nord Africa e Medio Oriente e l’America. Tra i set-
tori industriali spiccano quello del tessile-abbigliamento (con circa il 43%
dei casi di ritorno), delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (poco
meno del 21%) e della meccanica (8,9%).
Il ritorno in Italia non è, ovviamente, un’operazione semplice da realizzare.
Chi in passato ha delocalizzato all’estero trova delle difficoltà iniziali so-
prattutto in un periodo di crisi e di margini compressi. Su queste aziende,
secondo il rapporto del CER, l’effetto positivo del Made in Italy assume
però un ruolo preponderante rispetto a quello derivante dal risparmio nei
costi di produzione e segnala un innalzamento del target di riferimento
delle imprese verso fasce di consumatori a elevato potenziale di acquisto.
luca.rossi@fieramilanomedia.it@lurossi_71
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rmo
giugno/luglio 2016