Bene strumentale, fatturato record a 56,6 miliardi nel 2023 nei dati Federmacchine

Pubblicato il 29 luglio 2024
Federmacchine industria italiana beni strumentali 2023 Bruno Bettelli

Nel 2023, l’industria italiana del bene strumentale ha visto crescere ancora il fatturato che ha segnato un nuovo record per il comparto. Per il 2024 è atteso un moderato calo di quasi tutti gli indicatori economici; nonostante ciò, i valori si manterranno su livelli mediamente alti.

Questo è quanto emerge dai dati elaborati dal Gruppo Statistiche Federmacchine e presentati lo scorso 17 luglio in occasione della assemblea soci della federazione. Accanto al presidente Federmacchine Bruno Bettelli, è intervenuto il vicepresidente di Confindustria, Marco Nocivelli.

Nel 2023, il fatturato dell’industria italiana del bene strumentale è stato pari a 56,6 miliardi di euro, con un incremento del 2,1% rispetto al 2022, segnando un nuovo record. Le esportazioni, cresciute, del 5,8%, a 37,7 miliardi di euro, hanno pure segnato un nuovo primato superando il risultato del 2022. In calo, invece, le consegne dei costruttori italiani sul mercato interno che si sono fermate a 18,9 miliardi (-4,6%). La domanda interna è scesa a 30,4 miliardi (-4%). La debole domanda interna ha porta al calo anche dell’import, a 11,5 miliardi (-3%).

Le imprese italiane del settore hanno quindi dimostrato, ancora una volta, di saper ben presidiare il mercato locale, come evidenziato dal dato import/consumo che si è attestato al 37,9%. Il rapporto export/fatturato è cresciuto, di quasi due punti percentuali, al 66,6%.

Federmacchine dati industria italiana bene strumentale 2023

Le previsioni per il 2024 sono quindi per un’inversione di tendenza per l’industria italiana del machinery, in modesto rallentamento, mantenendosi comunque su livelli mediamente alti: fatturato a 54,7 miliardi (-3,3% rispetto al 2023), consumo interno in calo dell’8,3% a 27,9 miliardi di euro. Ne risentiranno sia le importazioni, attese in calo del -2,6%, a 11,2 miliardi di euro, sia le consegne dei costruttori che dovrebbero fermarsi a 16,7 miliardi, -11,7%. L’export, invece, crescerà ancora, seppur di poco (+0,9%) oltrepassando i 38 miliardi, nuovo record per il comparto.

Con riferimento alla distribuzione delle vendite, nel 2023 la quota di fatturato realizzata in Italia si è attestata al 33,4%. Il 36,1% del totale è stato destinato agli altri paesi dell’Europa. L’area europea assorbe quindi quasi il 70% del fatturato italiano di comparto. Segue l’export nelle Americhe (15,6%) e in Asia (11,3%).

Nel 2023, l’export italiano è cresciuto in tutti i principali mercati ad esclusione di Cina, Turchia e Regno Unito. Meglio di tutti, in termini di incremento, hanno fatto Messico e Polonia. Principali mercati di destinazione sono risultati: Stati Uniti (5 miliardi di euro, +6,7%); Germania (3,9 miliardi, +4,3%); Francia (2,6 miliardi, +7,9%); Cina (1,8 miliardi, -4,4%); Polonia (1,6 miliardi, +15,6%).

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Bruno Bettelli, presidente Federmacchine, ha così commentato: “L’estero rappresenta per le aziende di Federmacchine lo sbocco ideale per la propria attività come dimostra il dato di export su fatturato che in alcuni periodi ha raggiunto addirittura quota 75%. Per tale ragione la federazione ha dedicato particolare impegno, anche nel corso del 2023, alle iniziative volte favorire le relazioni con gli utilizzatori stranieri. Il Rapporto Ingenium, realizzato da Confindustria e Federmacchine nel 2022, ha messo in evidenza un potenziale di 16 miliardi di euro di export non ancora realizzato che potrebbe essere alla portata delle aziende e che è distribuito tra mercati emergenti e mercati già affermati. Da qui siamo partiti per ragionare sulle azioni di supporto all’attività di internazionalizzazione del comparto, partecipando a incontri e organizzando occasioni di contatto con rappresentanti dei sistemi industriali di alcuni importanti Paesi quali, per esempio, Cina, Vietnam, Arabia Saudita. Il lavoro non termina certo qui, tant’è che abbiamo avviato la realizzazione della seconda edizione del Rapporto per avere un quadro più aggiornato della situazione. È chiaro però che, a fronte dell’impegno che le aziende del comparto e le organizzazioni di rappresentanza mettono, occorre comunque un supporto da parte del sistema paese, penso tra gli altri a ICE Agenzia, Sace e Simest, per sostenerle nella loro attività di internazionalizzazione”.

“Sul fronte interno, invece – ha aggiunto Bettelli – così come abbiamo sostenuto l’introduzione e il mantenimento del provvedimento Industria/Impresa e infine Transizione 4.0 per la digitalizzazione, da subito abbiamo condiviso la proposta del governo legata a Transizione 5.0 incentrata sul tema del risparmio energetico. Al di là dell’evidente beneficio economico, il provvedimento farà sicuramente da traino alla transizione verso la green manufacturing. In sostanza, questa misura di politica industriale può e deve essere interpretata come leva per sensibilizzare le imprese su un nuovo modo di operare, rendendo così più competitivo il made in Italy del comparto e di tutti quei settori che utilizzano i macchinari di ultima generazione”.

“La misura ha però necessità di funzionare al più presto, affiancandosi al provvedimento 4.0. Stiamo perdendo tempo prezioso che rischiamo di non poter recuperare, visto che le risorse dedicate sono legate al PNRR, e in particolare al Fondo Repower EU che, per regole di rendicontazione, prevede che il macchinario 5.0 possa godere dell’agevolazione prevista solo se sarà installato e interconnesso entro il 31 dicembre 2025. I tempi così compressi tra la disponibilità della misura e il termine di consegna e interconnessione del macchinario mettono in difficoltà i costruttori italiani che, specializzati nel prodotto personalizzato, hanno tempi di produzione di circa 6-8 mesi. Questa attesa rischia di favorire prima di tutto l’import (che notoriamente arriva dall’Asia) a scapito del nostro prodotto o comunque del prodotto Made in Europe”.

“Per questo a Confindustria – ha concluso Bettelli – chiediamo di attivarsi quanto prima presso le autorità affinché si consideri l’allungamento al 2026 della possibilità di utilizzo dei fondi stanziati per tale provvedimento. Conosciamo i vincoli legati all’utilizzo di questi 6,3 miliardi di euro stanziati dall’Europa ma sappiamo anche che vi sono Paesi i cui sistemi industriali non navigano certo in buone acque. Per questo pensiamo di non essere gli unici a poter beneficiare di una revisione che permetta più agio nella fruizione della misura così da evitare che le risorse tornino a Bruxelles senza essere spese, per mancanza dei tempi tecnici. Occorre però che le nostre autorità si coordinino appena possibile con i colleghi europei per capire quali sono gli spazi di manovra”.



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