Federico Vicentini, PhD Robot Safety and Human-Robot Interaction, ITIA-CNR, vede la robotica collaborativa come un genere di robotica discontinuo rispetto al passato, che semplifica l’allestimento delle celle riducendo costi e spazi. Le nuove forme di interazione che comporta introducono la continuità di accesso al robot, molto vantaggiosa in contesti di lavorazioni flessibili e con operazioni miste. Per trarre il massimo beneficio, garantendo la sicurezza degli operatori, occorre però ripensare in maniera adeguata spazi e flussi di lavoro. Federico Vicentini arricchirà con la propria competenza in materia la Tavola Rotonda su Robotica collaborativa al Connected Manufacturing Forum il 26 Ottobre a Milano.
Automazione più semplice
La forte discontinuità con cui la robotica collaborativa si presenta rispetto a quella tradizionale suscita grandi entusiasmi e aspettative, rileva Vicentini. Tratto comune delle applicazioni collaborative è la semplicità di allestimento, non solo per la facilità di apprendimento o programmazione, ma anche in virtù della forte riduzione di mezzi, accessori, componenti e infrastrutture necessarie alla integrazione. “Soprattutto per nuovi utenti – dice Vicentini -, questo significa un notevole risparmio di costi diretti e indiretti di installazione, oppure la riduzione dello spazio occupato (bene prezioso in impianto)”. Accade però spesso che l’adozione delle soluzioni collaborative sia solo parziale, magari sostitutiva di una automazione precedente o come soluzione per progetti da tempo accantonati. Applicazioni che non colgono pertanto interamente i fattori di sicurezza, usabilità e gestione degli spazi, rendendo meno efficace il concetto di collaborativo.
Continuità d’accesso al robot
Elemento determinante dell’utilità dei cobot è quindi la continuità di accesso al robot e al sistema, continua Vicentini, ovvero la condivisione stretta di uno spazio – specie se da banco – e, sempre più, la possibilità di ricollocare i robot e i dispositivi (ad esempio su piattaforme mobili). Premesso che i robot tradizionali per Vicentini offrono sicuramente prestazioni e condizioni migliori in applicazioni con accessi poco frequenti e alte velocità, soluzioni collaborative sono invece molto efficaci se si devono eseguire operazioni miste sugli stessi pezzi – ad esempio con dei collaudi -, o se le postazioni non hanno un ritmo o delle sequenze fisse. “Kitting e assemblaggio – spiega il ricercatore – esemplificano casi di lavorazioni ibride nella fabbrica moderna, spesso senza un solo codice, né un ordine di esecuzione predeterminato né cadenze fisse”. Qui, operatore e robot possono intersecare task vari in uno spazio continuo e poco strutturato, dove il robot segue molte fasi preparatorie mentre l’operatore conserva ineguagliabili capacità di manipolazione veloce, soprattutto di oggetti non rigidi (cavi, tubi, guarnizioni, ..), e di composizione veloce di un kit.
Sicurezza e progettazione degli spazi
L’impostazione degli spazi è fondamentale onde escludere pericoli derivanti da inutili interferenze tra i movimenti del cobot e i gesti dell’operatore. Le soluzioni collaborative consistono infatti pur sempre di organi in movimento in uno spazio in cui la persona è presente, più o meno frequentemente o accidentalmente. “La riduzione del rischio, insita nel concetto stesso di robotica collaborativa – spiega allora Vicentini -, deve essere perseguita con tutti i mezzi possibili, in primis a livello tecnico, impiegando limiti di velocità, limiti di forza, prevenzione intelligente delle collisioni e così via. Quindi minimizzando il più possibile il manifestarsi della situazione pericolosa”. Per evitare l’insorgere di situazioni pericolose è allora fondamentale disegnare bene gli spazi, prevedendo ad esempio ampi spazi di fuga, pochi ostacoli, forme arrotondate e morbide.
Attitudine al cambiamento
Un discorso a parte merita infine l’accettazione dei robot da parte delle persone, che per Vicentini, al di là delle competenze tecniche possedute, ha a che fare con l’attitudine aziendale. Capita infatti spesso di riscontrare una maggiore propensione a modalità collaborative, anche da parte degli operatori, in realtà piccolissime, piccole e medie, rispetto ad aziende molto strutturate in termini di procedure e impostazioni di sicurezza. “Ciò non significa che esista un far west di inesperienza che tende a sottovalutare il problema – specifica Vicentini -; può significare, invece, che esistono maggiori attitudini al cambiamento laddove le consuetudini di progettazione e lavoro sono meno irrigidite dall’abitudine o da liturgie interne”. È in queste realtà, tra l’altro, che si ritrova il maggiore dinamismo in termini di coinvolgimento emotivo ed ergonomico-cognitivo con questo nuovo tipo di macchine. Un tema che per Vicentini è ancora poco inesplorato e di grande interesse scientifico, e che apre una serie di domande su come evolverà nel tempo l’interazione tra operatore e robot, sulla percezione da parte dell’uomo di una macchina che per sua natura e origine richiama l’arto umano e sulla prossima evoluzione delle funzionalità, già oggi concentrate su profilazione e adattamento dei parametri all’utente.
Il Connected Manufacturing Forum, è l’evento organizzato da Business International/Fiera Milano Media dedicato all’ Italia 4.0 e alla Cultura dell’Innovazione. Utilizzare le tecnologie digitali e applicare l’innovazione al tessuto delle imprese italiane è la vera scommessa di questo momento e il Connected Manufacturing Forum ha l’obiettivo di percorrere i tratti del cambiamento del mondo industriale attraverso tutti gli attori della filiera, fornendo così un aggiornamento reale sull’avanzamento delle aziende e sullo stato dell’arte degli strumenti finanziari introdotti dal Piano Nazionale Italia 4.0.
Per informazioni sull’evento: Giovannina Pelagatti (Conference Manager)