Sistemi di lavorazione riconfigurabili o flessibili?

Pubblicato il 15 dicembre 2001

Gran parte del ’900 è stato caratterizzato dal paradigma produttivo della Mass production, che era in grado di sposare al meglio le necessità di produzione su vasta o vastissima scala di prodotti di serie dalla variabilità ridotta. L’accento era posto sulla produttività e sull’uso di metodologie produttive mirate alla riduzione sistematica dei costi per unità di prodotto (per esempio standardizzazione, competizione tra i fornitori ecc.). I nuovi contesti che si sono progressivamente venuti a creare sono stati sempre più caratterizzati da crescente richiesta di qualità e differenziazione dei prodotti, spingendo per un forte accento sulla variabilità della produzione. La progressiva riduzione dei cicli di vita di molti prodotti ha contribuito a far crescere la necessità di affrontare il problema della produzione in maniera più dinamica. L’attenzione posta fin dalla fine degli anni, ’70 sul concetto di flessibilità dei sistemi produttivi nasce proprio in risposta all’andamento dei mercati. Le tradizionali linee rigide ad alta cadenza, benché permettessero di ottenere elevata produttività e di perseguire economie di scala, tuttavia non rendevano economica la produzione di mix ampi e variabili, consentendo di impiegare un impianto per la realizzazione di un ridottissimo numero di parti. In molte situazioni, ma chiaramente non in tutte, ciò non era accettabile. L’idea che spinse alla realizzazione di sistemi quali linee flessibili e FMS fu quella di poter utilizzare un unico impianto in grado di realizzare una vasta famiglia di parti, a grande variabilità sia interna che nel tempo. L’impiego di macchine flessibili come i centri di lavoro a 3 e a 5 assi consentono di contenere al minimo i tempi per i cambi di produzione adattandosi alle variazioni, anche nei volumi, della produzione. L’ulteriore incremento nella variabilità ed imprevedibilità della domanda [10] rende però sempre più spesso evidenti i limiti di un’impostazione di questo tipo. Questi sistemi risultano a volte molto costosi, soprattutto nei casi, sempre più frequenti a seguito di un incremento nell’imprevedibilità della domanda, in cui le vaste capacità implementate sul sistema risultano sottoutilizzate. Una nuova impostazione cerca di affrontare queste nuove esigenze con un approccio orientato alla riconfigurabilità del sistema produttivo. Ciò che guida l’evoluzione è sempre comunque la modifica dei contesti produttivi, e si utilizzano specifiche innovazioni tecniche per realizzarla. L’obiettivo resta comunque quello di saper produrre, senza dover impiegare sistemi diversi, mix ampi di parti in volumi variabili. Anziché impiegare generiche risorse produttive dal vasto campo di applicazione, si preferisce tendere verso l’utilizzo di sistemi specifici per un obiettivo produttivo che siano facili da modificare in vista di un successivo diverso obiettivo produttivo. L’utilizzo di sistemi di questo tipo consente di affrontare la variabilità ed imprevedibilità della domanda impiegando in ogni periodo produttivo le capacità e funzionalità richieste, evitando di dover sovradimensionare le risorse impiegate. Ovviamente, tutto questo al costo di successive modifiche, che andrà minimizzato tramite l’impiego di adeguati strumenti produttivi. Quest’ultimo approccio è orientato allo sfruttamento di elevata riconfigurabilità.

Flessibilità

Da almeno vent’anni la flessibilità è indicata come una necessità tecnologico-gestionale fondamentale per la competitività di un’azienda. Tuttavia, l’idea generale riguardo a questo argomento non è ben definita ed è anzi a volte contraddittoria [11]. Ciò non favorisce la chiarezza né la comprensione dell’argomento. Una possibile spiegazione di questo può essere ricercata nella natura stessa della flessibilità, difficile da racchiudere entro limiti precisi e da quantificare. Sono stati scritti diversi articoli per cercare di portare chiarezza a riguardo di cosa si intenda attualmente per flessibilità, ed in particolare per fare un compendio completo dei diversi requisiti per un’effettiva flessibilità [11, 12, 13 e altri]. Oggi è quindi possibile identificare alcune categorie che ne toccano i diversi aspetti ed insieme la definiscono come unicum.
Flessibilità di macchina [2]: fa riferimento ad una singola macchina ed in particolare ai vari tipi di operazione che la macchina è in grado di realizzare, senza eccessivi costi né tempi per passare da una alla successiva.
Flessibilità di movimentazione [4]: rappresenta la capacità del sistema di movimentazione di maneggiare in maniera efficiente differenti tipologie di parti, garantendo posizionamenti corretti relativamente allo strumento produttivo cui è asservito.
Flessibilità di operazione [13]: riguarda le parti da produrre, e fa riferimento alla facilità con cui possono essere impiegate sequenze alternative di operazioni per realizzarle.
Flessibilità di processo [1]: fa riferimento all’insieme delle diverse tipologie di parti che il sistema è in grado di produrre senza eccessivi sforzi per i set-up.
Flessibilità di allocazione [5]: per un sistema produttivo è la capacità di produrre una parte con percorsi diversi all’interno del sistema stesso. Si può stimare come il numero medio di possibili percorsi che una parte può seguire all’interno del sistema. Si può distinguere [13] in potenziale, che tiene conto di tutti i possibili percorsi, e effettiva, che considera anche l’affidabilità e saturazione delle macchine.
Flessibilità di prodotto [1]: è la facilità con cui nuove parti possono essere inserite, o sostituite, nel set di quelle esistenti.
Flessibilità di volume (elasticità): è la possibilità di far lavorare il sistema su differenti ritmi conservando un profitto.
Flessibilità di espansione (scalabilità) [13]: riguarda la facilità con cui la capacità produttiva può essere incrementata quando necessario.
Flessibilità di programma [6]: rappresenta la capacità del sistema a produrre per un tempo sufficientemente lungo senza essere presidiato.
Flessibilità di produzione [3]: riguarda l’ampiezza della gamma di parti che il sistema è in grado di produrre senza necessitare di nuovi investimenti.
Flessibilità di mercato [11]: è in generale la facilità con cui un sistema manifatturiero sa adattarsi a mutazioni del mercato. Può essere meglio specificata [13] considerandola in particolare come facilità ad adattarsi in maniera efficiente al mercato.
I primi tre aspetti riguardano, in particolare, i componenti di un sistema produttivo ed insieme quindi possono rappresentare la flessibilità di base. I cinque successivi fanno riferimento, invece, all’insieme del sistema produttivo, e possono costituire quindi la flessibilità di sistema. Gli ultimi tre, infine, riguardano aspetti più generali e strategici e possono quindi essere definite come forme aggregate di flessibilità. Come approccio generale di alto livello, comunque, possiamo definire la flessibilità di un sistema produttivo come la propensione a dare in uscita, in maniera economica, prodotti differenziati in volumi variabili. Le diverse classi individuate costituiscono gli strumenti sui quali si può puntare per ottenere il livello desiderato di flessibilità. I contrastanti risultati messi in evidenza in precedenza, che avevamo spiegato poter essere legati alla cattiva comprensione delle problematiche legate alla flessibilità, possono dunque essere ricondotti alla classificazione vista. Non è detto, infatti, che allorché un’impresa ritenga di dover disporre di flessibilità debba automaticamente utilizzarne tutte le forme viste. Una chiara e globale idea sulle diverse classi che possono rientrare nel concetto di flessibilità può aiutare a utilizzare correttamente questa proprietà, dal momento soprattutto che essa rappresenta un costo.

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