Come noto la marcatura CE delle macchine è un obbligo in Italia dal 21 Settembre 1996. Potrebbe quindi apparire strano che, dopo oltre cinque anni, si torni sull’argomento che dovrebbe ormai essere scontato. In realtà diverse osservazioni concorrono a rendere l’argomento tutt’altro che ovvio. Prima di tutto il fatto che la questione della conformità del prodotto macchina alle direttive applicabili è sempre stata sottovalutata a tutti i livelli, dalla progettazione alla produzione, non tanto per superficialità quanto per il fatto che la mancanza di controlli induceva molte aziende a cercare di evitare di caricare sul proprio prodotto quelli che, impropriamente, erano ritenuti costi aggiuntivi. Secondariamente per il fatto che il panorama legislativo e normativo del settore macchine è in continua evoluzione per cui soluzioni che cinque anni orsono consentivano di conseguire la conformità oggi non sarebbero più valide.
Con questo articolo vogliamo riprendere in esame la materia privilegiando il punto di vista della progettazione che, come vedremo, contribuisce a creare in larga parte la sicurezza del prodotto finale.
Regole applicabili: direttive e norme tecniche
La principale direttiva applicabile alle macchine è la 98/37/CE meglio nota come direttiva macchine, recepita in Italia dal DPR459/96. La direttiva, attraverso l’allegato I, definisce i requisiti di sicurezza che una macchina deve avere per poter circolare liberamente sul mercato della Unione Europea. Ma marcare CE un prodotto non significa attestare il rispetto di una specifica direttiva, bensì attesta che il prodotto è conforme a tutte le direttive applicabili al prodotto medesimo. Quindi per una macchina, che normalmente è fornita di un impianto elettrico alimentato da rete, si applicano anche la direttiva bassa tensione e la direttiva compatibilità elettromagnetica. Alle macchine dotate di impianti in pressione (impianto pneumatico, impianto idraulico o altro) si applica inoltre, in forma obbligatoria a partire dal 29 maggio 2002, la direttiva 97/23/CE nota come PED che regolamenta la sicurezza dei prodotti dotati di attrezzature a pressione, con esclusione dei recipienti semplici a pressione già regolamentati da altra direttiva e di alcuni prodotti specifici citati dalla direttiva stessa1. Se il rispetto delle direttive è un obbligo per il costruttore, e dunque per chi progetta il bene, non è invece obbligatorio il rispetto delle norme tecniche. Ma esiste una specifica famiglia di norme, le norme armonizzate, che risultano utilissime per dimostrare la conformità di una macchina alle direttive. Infatti tali norme prevedono il principio di presunzione di conformità per cui rispettando una norma automaticamente si ottiene la conformità alla direttiva a cui la medesima norma è armonizzata (naturalmente limitatamente agli aspetti oggetto della norma medesima). Le norme armonizzate alla direttiva macchine, che nel 1996 erano relativamente poche, oggi sono piuttosto numerose e regolamentano sia aspetti generali (per esempio distanze di sicurezza, scelta della categoria dei sistemi di sicurezza, caratteristiche dei ripari, ecc.) che aspetti relativi a specifiche tipologie di macchine. E le norme devono essere ben conosciute da chi progetta perché anche chi dovesse scegliere la via, consentita, di non rispettare la norma dovrebbe comunque, a livello di fascicolo tecnico, dimostrare che le soluzioni adottate per la sicurezza sono migliori o almeno equivalenti a quelle suggerite dalla norma.
Il principio di integrazione della sicurezza
All’interno del panorama legislativo, e per la precisione all’inizio dell’allegato I della direttiva macchine, si delineano meglio i ruoli dei diversi soggetti aziendali nel conseguimento della conformità di un prodotto. Il principio di integrazione della sicurezza stabilisce che i rischi debbano essere eliminati all’origine ove possibile, in alternativa debbano essere eliminati o ridotti mediante opportune protezione e, solo se le due prime alternative non sono percorribili (bisogna comunque dimostrarlo a livello di fascicolo tecnico), debbano essere gestiti mediante opportune prassi lavorative (procedure). Ne deriva che il ruolo della progettazione diviene fondamentale certamente per la eliminazione dei rischi all’origine, quasi altrettanto per la scelta di ripari e sistemi di sicurezza che non compromettano la funzionalità della macchine e, in ultima analisi, anche per studiare le modalità operative appropriate per evitare i rischi presenti (modalità che verranno poi trasformate in prescrizioni e procedure da inserirsi all’interno del manuale). Altro aspetto fondamentale che induce a coinvolgere al massimo la funzione di progettazione negli aspetti di sicurezza è quello economico. Infatti, studiare preventivamente soluzioni alternative per rendere una macchina conforme non è solo più efficace tecnicamente (la soluzione scelta sarà probabilmente il miglior compromesso fra sicurezza ed efficienza della macchina), ma consente anche di evitare costosi rappezzi in fase di produzione. Inoltre, documentando le analisi effettuate in progettazione, si dimostra automaticamente il rispetto del principio di integrazione della sicurezza che è, comunque, un obbligo di legge.
Responsabilità del progettista
A questo punto, giustamente, il progettista si pone una domanda: quali sono le mie responsabilità?
In verità ci dovremmo chiedere, prima ancora, chi sia il progettista di una macchina. Premesso che il progettista non deve avere particolari qualifiche, salvo che per tipologie limitatissime di macchine (apparecchi di sollevamento, recipienti in pressione e simili), si dovrebbe concludere che il progettista è colui che firma i disegni e/o i calcoli (se necessari). Ma si rischierebbe di creare una certa confusione fra il ruolo di progettista e quello di disegnatore2. Quindi probabilmente in termini di responsabilità come progettista il soggetto maggiormente implicato è chi approva il progetto o il capo dell’ufficio tecnico. Sarebbe bene, comunque, avere un mansionario interno e una procedura di emissione dei progetti che chiarisca i ruoli dei diversi soggetti. Veniamo ora alle responsabilità penali e civili. Per le seconde, che hanno un carattere prettamente commerciale, la titolarità è dell’ azienda a del legale responsabile della medesima. Invece il progettista ha responsabilità penali specifiche per errori di progettazione che comportano la non rispondenza della macchina alle leggi vigenti. Queste responsabilità sono definite dall’articolo 6 del D.Lgs. 626/94. In realtà nulla di nuovo si aggiunge alla legislazione precedente che in caso di incidente causato da una macchina verificava comunque che questo non fosse causato da un errore di progettazione (si applicava il codice penale per omicidio colposo o lesioni colpose). La differenza si limita alle non conformità che possono essere rilevate da un organismo di controllo senza che abbiano causato alcun incidente. In questo caso il progettista, se ritenuto responsabile, può essere perseguito penalmente ai sensi del D.Lgs. 626/94.