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Lavorare a secco in fresatura..ERT

I materiali difficili

A questo punto ci si chiede quali siano i materiali ‘difficili’ da lavorare a secco e la possibilità di utilizzare la fresa in acciaio rapido. “Ciò che conta – spiega Davide Allasia – è il volume di truciolo generato. Oltre alla velocità di taglio e all’avanzamento bisogna considerare la profondità di passata e la durata dell’impiego dell’utensile. Non esistono più limiti nell’utilizzo di materiali per la lavorazione a secco: si è visto che impiegando due utensili in acciaio super rapido, uno a secco e l’altro a umido, nella finitura la resa a secco è superiore del 40%. Culturalmente non è ancora accettata perché si pensa che sia necessaria l’acqua per il raffreddamento. È un campo interessante che merita di essere approfondito.” Benzi afferma che si preferisce l’utensile in acciaio super rapido a quello in carburi per la sua maggiore elasticità: anche se perdesse la proprietà di taglio per usura, permetterebbe di arrivare alla fine della lavorazione. Più il materiale è compatto, più è stabile e facile da trattare. “Sono state sviluppate frese particolari in acciaio super rapido e in metallo integrale denominate a spoglia variabile -interviene Allasia-. Si realizzano 3-5 spoglie anziché una, in modo da generare, durante il contatto tra utensile e materiale, una differenziazione di spoglia.”

Dilatazioni termiche ed errori dimensionali

Lavorare a secco significa talvolta risentire delle dilatazioni termiche del pezzo e dell’utensile, il che si traduce in errori dimensionali sul pezzo. Per Andorlini la deriva termica della macchina e dell’utensile è un punto cruciale. L’utensile è il primo elemento che assorbe calore, che nelle lavorazioni ad alta velocità è molto ridotto perché l’80% del calore sviluppato durante l’azione di taglio viene asportato dal truciolo; il mandrino dissipa poi il calore al suo interno causando allungamenti. Maggiore è l’asimmetria strutturale della macchina, maggiori sono le deformazioni termiche che influiscono sulla precisione del pezzo. Si controlla la temperatura dell’elettromandrino con sonde termiche e si compensano gli allungamenti. Gabrielli aggiunge che le moderne macchine utensili vengono progettate con strutture che permettono di avere dei punti di controllo in cui sia possibile applicare delle sonde per gestire a livello software l’inevitabile dilatazione termica. Questi punti di controllo devono essere studiati e posizionati nelle zone più utili per verificare le deviazioni. “Oltre all’allungamento – interviene Benzi – si verifica il fenomeno della deviazione geometrica. Nelle macchine di grande volume è molto più evidente l’errore dovuto alla variazione angolare. Per compensarlo si montano dei giroscopi elettronici creando un offset del pezzo in funzione della deriva termica. Non ci sono ancora dispositivi elettronici che compensino l’errore volumetrico causato dal pezzo.” Secondo Andorlini, un tale errore dovrebbe essere previsto in fase di progettazione CAM. Per Molinari il problema consiste nella concezione di base della macchina. Gli errori sono compensati dai sensori posti su due assi per correggere l’utensile sia in Z sia in Y; il mandrino è ad albero cavo raffreddato. Un ulteriore problema è lo smaltimento degli olii e certamente quelli naturali non sono i più produttivi. “Per eliminare le derive termiche – prosegue Molinari -, si usano alcuni accorgimenti per le macchine ma occorre anche migliorare le caratteristiche degli utensili. Si può arrivare a buoni risultati partendo da una struttura rigida.” Bianchi ribadisce che non esiste ancora una macchina priva di escursione termica. Non si arriverà mai a eliminarla completamente e inoltre è legata all’utensile. “Se i parametri sono scelti in modo corretto, si arriva alla stabilità di posizione del centro utensile rispetto al naso mandrino. E se si vuole una precisione ottima – conclude Benzi – si deve scegliere l’innovativo elettromandrino a campo magnetico, non ancora utilizzato in Italia. È ormai necessario attrezzarsi per stare al passo con le innovazioni, come i motori lineari che sono la realtà di domani. I motori rotativi, la chiocciola, una vite a sfera, qualsiasi organo rotante provoca dispersioni di posizionamento e una perdita dinamica di capacità di prestazioni. Il problema è stabilire l’usura dell’utensile in funzione del materiale da lavorare.”

Lubrificazione minimale

Lavorare a secco presenta vantaggi economici ed ecologici. Si tratta ora di capire quando la lubrificazione minimale sia una valida alternativa e quando sia invece necessario il fluido da taglio. Sull’argomento non sono state ancora effettuate ricerche specifiche. “In fresatura – sostiene Franco Gabrielli – può esserci una fase di attaccamento del lubrificante al dente e una fase di mancanza di contatto.” Secondo Andorlini è importante il grado di lucidatura dell’utensile affinché il truciolo scivoli sulle pareti: “Su un utensile lappato, la lubrificazione minimale favorisce ancor più lo scorrimento perché riduce gli attriti e lo sviluppo di calore. L’utilizzo ottimale sarebbe quello di arrivare, passando attraverso il centro dell’utensile, direttamente sul tagliente, lubrificando così perfettamente la superficie di scorrimento del truciolo, in modo tale da realizzare una migliore evacuazione dello stesso ed una riduzione del riscaldamento dell’utensile. Così facendo si otterrebbe una lubrificazione ottimale della zona di taglio non solo a tre assi, ma soprattutto nelle lavorazioni a cinque assi, potendo ottimizzare lo sfruttamento del lubrificante e quindi riducendone i consumi. Oggi l’unico modo per seguire l’utensile che si muove nello spazio con macchine a cinque assi è quello di creare delle canalizzazioni esterne al mandrino orientate grossolanamente dall’operatore all’inizio della lavorazione e che sicuramente non lubrificano in modo ottimale la zona di taglio.” Allasia ribadisce che nella tornitura il costruttore crea utensili in grado di allontanare il truciolo nella maniera più veloce possibile mentre nella maschiatura e nella foratura non è possibile e, di conseguenza, si utilizza la lubrificazione minimale. Nella prima non si usa perché richiederebbe all’utensile prestazioni troppo elevate. “In foratura – spiega Annoni – è necessario diminuire la temperatura nella zona di taglio sia perché la velocità di taglio al centro è zero sia per far defluire il truciolo. Si deve riuscire a portare la lubrificazione minimale nella zona di taglio attraverso i canali. Seco, ad esempio, ha realizzato utensili piccoli, gestiti con lubrorefrigerazione interna. Con la lubrificazione minimale i benefici riguardano la durata dell’utensile, la superficie generata e la temperatura del pezzo mantenuta bassa. Inoltre la lubrificazione minimale allunga la vita del tagliente.”