Si è tenuta, a Roma, la tradizionale presentazione dei risultati dell’indagine congiunturale di Federmeccanica sull’Industria Metalmeccanica, giunta alla sua 135ª edizione. I dati relativi all’andamento del comparto, presentati da Angelo Megaro, direttore del centro studi di Federmeccanica, confermano per i primi sei mesi dell’anno i moderati segnali di miglioramento già emersi nell’ultimo trimestre del 2014. La ripresa, tuttavia, è flebile e non risulta ancora diffusa a tutte le attività del settore. Vediamo qui di seguito alcuni dati e percentuali secondo l’associazione di categoria.
Crescita della produzione
Nella prima metà dell’anno in corso, i volumi di produzione sono mediamente cresciuti dell’1,8% nel confronto con l’analogo periodo dell’anno precedente grazie soprattutto ai buoni risultati ottenuti dalle imprese produttrici di autoveicoli e parti staccate (+25,8%). Tuttavia permangono ancora negativi i risultati per le imprese metallurgiche (-3,8%), per quelle del comparto dei prodotti in metallo (-4,3%) e per le costruzioni di apparecchi elettrici ed elettrodomestici (-1,3%). Sulla base delle indicazioni che emergono dall’indagine trimestrale che la Federmeccanica conduce presso un campione d’imprese associate, la fase espansiva risulta proseguita anche nel corso del terzo trimestre pur in presenza di un rallentamento così come si evince dall’evoluzione del portafoglio ordini e dalle previsioni formulate dalle aziende.
Questa dinamica risulta in parte ascrivibile al buon andamento delle esportazioni, cresciute del 5,6% rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente, ma anche alla moderata ripresa della domanda interna, ripresa confermata dal forte incremento delle importazioni di prodotti metalmeccanici che nei primi sei mesi dell’anno sono cresciute del 14,2%.
Bene l’esportazione, ma non è tutto
I flussi esportativi metalmeccanici sono aumentati fortemente verso gli Stati Uniti (+32,5%) che risulta essere il secondo Paese importatore, alle spalle della sola Germania. Sono aumentati i flussi verso il Giappone (+29,2%), la Spagna (+9,1%) e il Regno Unito (+10,1%). Conformemente all’evoluzione dell’attività produttiva metalmeccanica di Francia e Germania, sostanzialmente stagnante, le esportazioni verso questi paesi si sono confermate sugli stessi livelli del 2014. Andamenti negativi si sono avuti con la Cina (-10,2%) e, in misura maggiore, con la Russia (-30,1%).
I dati osservati evidenziano, dunque, a partire dall’ultimo trimestre del 2014, un modesto miglioramento della congiuntura metalmeccanica, “che appare tuttora insufficiente a recuperare anche solo parte di quanto perso nel corso della precedente fase recessiva” ha commentato Stefano Franchi, direttore generale di Federmeccanica (in foto a sinistra). “Se è vero che dopo circa sette anni di caduta quasi costante della produzione metalmeccanica ci troviamo di fronte a parziali segnali di miglioramento della congiuntura settoriale, tuttavia il consolidamento della ripresa in atto dipenderà oltre che da fattori interni anche dall’evoluzione dell’economia mondiale, su cui gravano il rallentamento dell’economia cinese, l’instabilità finanziaria di quell’area e l’eventuale conseguente guerra delle valute che potrebbe scaturirne”.
Analisi del periodo 2007-2014
Stefano Franchi ha quindi espresso molta cautela e, ancora una volta, ha rimarcato con preoccupazione il pesante calo della produzione manifatturiera registrato negli ultimi sette anni. “Nel periodo 2007-2014 si è perso circa un terzo della produzione metalmeccanica, un quarto della capacità produttiva e la ricchezza prodotta, misurata con il valore aggiunto a prezzi costanti, è crollata dai circa 120 miliardi di euro agli attuali 98 miliardi, con una contrazione pari a circa 18 punti in termini percentuali. Il calo della produzione metalmeccanica ha interessato in modo diffuso tutti i comparti dell’aggregato anche se in misura differenziata, ma comunque tutti superiori al 20%. Si passa, infatti, da un minimo del -20,9% nella produzione di altri mezzi di trasporto, al -43,8% nella produzione di macchine e apparecchi elettrici. Infine, i livelli occupazionali sono diminuiti di oltre di 250.000 unità. Sono numeri di una guerra, senza che ci sia stata una guerra. Niente sarà più come prima. Non è una crisi ma una transizione da una fase ad un’altra. E’ necessario quindi dare avvio ad un’opera di vera e propria ricostruzione con un’azione riformatrice di rinnovamento”.
A tali risultati ha contribuito la caduta della domanda interna per beni d’investimento in macchine e attrezzature. Inoltre, nonostante la tenuta della domanda estera, la perdita di competitività dell’economia italiana ha ridotto in modo significativo le quote di mercato mondiale dei nostri prodotti metalmeccanici. Dal 2007 al 2014, infatti, per i metalli e i prodotti in metallo si è passati dal 4,7% al 4%; per i Computer, apparecchi elettronici e ottici dall’1%; allo 0,7%; per le macchine e apparecchi elettrici dal 5,3% al 3,7%; per le macchine e apparecchi meccanici dal 7,3% al 6,6% e infine per i mezzi di trasporto dal 3,4% al 2,7%. La ridotta capacità di competere è anche conseguenza di un incremento più elevato del Clup (Costo del lavoro per unità di prodotto) nel nostro Paese rispetto ai nostri principali concorrenti. In Italia, infatti, dal 2000 a oggi il Clup nell’industria manifatturiera è cresciuto del 34,7%, mentre in Francia solo del 2,3%; in Germania e Regno Unito, al contrario, si è registrata una diminuzione, rispettivamente, dello 0,2% e del 5,4%.
Dinamica salariale
“Sui nostri livelli di competitività – ha spiegato Alberto Dal Poz, vicepresidente di Federmeccanica (in foto a destra)- hanno inciso negativamente molteplici fattori. Da un lato, una dinamica salariale completamente slegata dagli andamenti produttivi e reddituali delle aziende: le retribuzioni nominali, infatti, sono cresciute del 23,6% nel periodo 2007-2014, mentre, nello stesso arco temporale, la ricchezza delle nostre imprese scendeva del 18%. Dall’altro, il permanere di un cuneo fiscale che determina costi elevati per i datori di lavoro e redditi contenuti per i lavoratori, sui quali incide inoltre un fiscal drag che riduce fortemente le dinamiche reali delle retribuzioni nette. “L’alleggerimento del cuneo fiscale, la decontribuzione e la detassazione del salario aziendale legato ai risultati, anche per le quote non contrattate – ha continuato Dal Poz – determinerebbero un abbassamento del costo del lavoro e un miglioramento della produttività, necessari a recuperare almeno una parte dei livelli di competitività persi nel corso degli ultimi anni”.