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Progettare 420 – Marzo – 2019

La bassa crescita è il male dell’Italia

Non c’è solo il gigantesco debito pubblico. A frenare l’economia dell’Italia c’è anche la sua bassa capacità di crescita, come confermano le stime dell’Unione Europea per quest’anno che ci collocano all’ultimo gradino continentale in questo senso. Prima della grande crisi, tra il 2001 e il 2007, il nostro Paese è risultato l’unico col segno meno tra la quarantina di Paesi considerati dallo studio Ocse. Lo stesso Osservatorio ha segnalato che tra il 2010 e il 2016 la produttività italiana, intesa come PIL per ora lavorata, è aumentata solo dello 0,14% medio annuo, dato peggiore in assoluto dopo quello della Grecia. Seppure dopo la crisi del 2008 la crescita della produttività abbia registrato un colpo di freno generalizzato, in Italia il fenomeno ha da tempo assunto dimensioni preoccupanti. Come sottolinea il bollettino statistico del Centro Studi di Fondazione Ergo, nel periodo 1995-2016 la produttività italiana è cresciuta mediamente a un tasso annuo dello 0,3%. Ossia quasi immobile. Sono fondamentalmente quattro i fattori che sono alla base di questo fenomeno negativo italico. Innanzitutto in Italia è sempre più difficile fare impresa: rispetto all’anno scorso il Paese ha perso cinque posizioni nella classifica mondiale del rapporto annuale ‘Doing Business’ redatto ogni anno dalla Banca Mondiale, scendendo dal 46° al 51° posto della classifica. L’Italia non solo è in coda tra i Paesi avanzati per percentuale di laureati ma ha anche uno dei più allarmanti livelli mondiali di ‘disallineamento’ tra i percorsi di studio scelti dai giovani e le esigenze del mercato del lavoro. Negli ultimi quindici anni questo ‘disallineamento’ emerge con particolare evidenza nel confronto con la Germania. Terzo motivo è nella cronica carenza infrastrutturale, soprattutto nel Meridione. Infine i bassi livelli di spesa in R&S e ritardi sul fronte tecnologico: l’Istat fa notare come la spesa in R&D in Italia continua a essere inferiore a quella delle maggiori economie europee (circa l’1,3% del PIL contro una media al 2% per l’UE).

Luca Rossi