Progettare 404 – marzo – 2017
Solo con Industria 4.0 l’Italia riprende competitività
Dopo la grande crisi economica del 2008 il potenziale industriale dell’Italia si è ridotto del 19,5% mentre quello tedesco è aumentato del 6,5%. Secondo un’analisi Nomisma sulla perdita della produzione manifatturiera potenziale dei principali Paesi europei, all’inizio della crisi fino al 2014, il nostro tessuto produttivo si è ridotto del 17,7% con una erosione che è stata pari a tre volte quella sperimentata dall’intera Area Euro. A tenere in piedi l’architettura industriale italiana sono le imprese fra i 10 e i 250 addetti. Allo stesso tempo il sistema produttivo italiano non è riuscito a risolvere, a livello sistemico, il suo paradosso: il 20% delle nostre imprese, a cui si deve la quasi totalità dell’export, produce l’80% del valore aggiunto. L’adozione del paradigma di Industria 4.0 e della fabbrica Intelligente potrebbe essere una chiave di svolta. In Germania, oltre la metà delle 6mila imprese manifatturiere con più di 100 milioni di euro di fatturato ha effettuato investimenti, o li sta perfezionando, in questo senso. Fra le imprese americane, il 16% delle aziende ha realizzato uno dei tasselli del nuovo mosaico: i big data, l’internet of things, la robotica collaborativa, l’additive manufacturing, la realtà aumentata e la cybersecurity. Negli Stati Uniti l’agenzia preposta a sviluppare questa particolare forma di politica industriale, l’Advanced Manufacturing Partnership 2.0, ha un budget di 2 miliardi di dollari. L’Accenture Institute for high performance, in collaborazione con Frontier Economics, ha calcolato che alle attuali condizioni nel 2035 la crescita dell’economia italiana sarà dell’1% mentre con l’applicazione di Industria 4.0 potrebbe potenzialmente duplicare la crescita. In questo periodo, in Italia il valore aggiunto potrebbe toccare l’1,8%. Quasi il doppio. Meno del 2,5% della Spagna, del 2,9% della Francia e del 3% della Germania. L’aumento della produttività italiana, da qui al 2035, sarebbe del 12%. Superiore all’11% spagnolo, ma inferiore al 20% francese e al 29% tedesco. Questa differenza – si legge nel rapporto – trova una sua origine nella diversa capacità che i Paesi hanno di integrare e assorbire le innovazioni tecnologiche.
Luca Rossi