La certificazione dei sistemi qualità secondo le norme ISO 9000 è una realtà ad oggi consolidata, al punto tale che esperti del settore sostengono essere giunta a un punto di non ritorno, verso il quale inevitabilmente tutte le aziende dovranno convergere. E i numeri paiono confermare questa tendenza, come dimostrano le aziende ad oggi certificate (tabella 1) e soprattutto i settori toccati, da quelli tradizionali (chimico, meccanico ed elettrico) ad altri emergenti, vuoi perché resa obbligatoria (edile, a seguito della legge Merloni sugli appalti) vuoi perché lo standard ISO 9000 ha rappresentato un punto di riferimento riconosciuto e comprensibile negli ambiti sanitari, alimentare, ecc., ovvero dove si è accresciuta sempre più la necessità di garantire l’utente/cliente. Non è possibile tuttavia nascondersi dietro questi numeri per non riconoscere la crisi che sta attraversando il mondo delle certificazioni, crisi alimentata da più motivi. I risultati non soddisfacenti in termini di accrescimento qualitativo dei prodotti realizzati e l’approccio burocratico e poco efficace da parte degli enti di certificazione (avallato dall’ente di accreditamento nazionale, Sincert) hanno trasformato l’attività certificativa in un lasciapassare più o meno costoso verso il raggiungimento del “bollino”, favorendo in tal modo situazioni obiettivamente insostenibili e non consentendo la crescita di organizzazioni ben lungi dall’essere in una situazione di “certificabilità”. Tuttavia il numero di aziende certificate continua a crescere, nonostante tutto. Il che significa come abbia fatto breccia nella diffidenza atavica dei nostri imprenditori un modello riconosciuto a livello internazionale, che ha permesso comunque di armonizzare linguaggi e modalità operative lasciate fino a pochi anni or sono alla serietà e professionalità dell’imprenditore stesso, oltreché accrescere la consapevolezza di doversi garantire tutele sempre maggiori sotto il profilo legale, a fronte di una normazione sempre più invasiva e consolidata a livello non solo nazionale, ma perlomeno europea. Un dato significativo emerge dai dati riportati nella tabella 2; la stragrande maggioranza di aziende hanno ottenuto la certificazione ISO 9002, il che non sempre si giustifica con la tipologia dell’azienda (esempio aziende di conto lavoro o su specifica cliente), quanto piuttosto con le ritrosie e difficoltà a includere i processi di progettazione all’interno di un SQ (e vi sono a tutt’oggi casi eclatanti di grandi aziende certificate solo per i processi produttivi).
Quali i motivi di queste scelte?
La necessità di ottenere il bollino in tempi brevi su pressioni di grossi clienti. Di fronte a questa esigenza, come esimersi dall’effettuare una corsa contro il tempo per raggiungere l’obiettivo senza ‘farsi troppo male?’. I processi produttivi si prestano da sempre alla standardizzazione e gli elementi di controllo dei processi sono spesso già presenti in azienda (cicli, attrezzature, controlli, ecc.). In tali casi si percepisce unicamente l’aspetto burocratico e di onerosità della certificazione (i controlli debbono essere registrati, gli strumenti tarati, ecc.). Il timore di svelare arcani e segreti della propria azienda, in quanto certificarsi significa pur sempre rendersi trasparente a un esterno. L’estro creativo che contraddistingue gli uffici tecnici, secondo i quali la progettazione non può essere ingabbiata e standardizzata con procedure e moduli, e che vedono qualsivoglia metodologia organizzativa con forte sospetto (ricompare lo spettro burocratico della certificazione). La basilare ignoranza dei requisiti della norma, dovuta in parte alla terminologia criptica adottata (e vedremo in seguito come alcuni concetti non siano di immediata comprensione per gli stessi valutatori), in parte alla pigrizia di analizzare con un minimo di criticità e buon senso le richieste dello standard.
Domande e risposte
Sicché, erroneamente la domanda più ricorrente di un responsabile di ufficio tecnico ai responsabili qualità è: “Cosa si deve fare per certificarsi?”. Mentre potrebbe essere: “Come sto lavorando?”. Mi rendo perfettamente conto che l’esigenza di certificarsi, il poco tempo che si dedica in azienda all’organizzazione, la necessità primaria di lavorare, non rendano agevole questo approccio, ma ciò non esime le aziende dal migliorare i propri metodi di lavoro, far sì che lavorare bene da subito non rimanga un vuoto slogan da appiccicare sul muro, ma divenga lo stimolo per lavorare con maggior profitto e far crescere l’azienda in termini di risultati operativi. Proviamo a chiederci quali sono i costi della certificazione e, parallelamente quali quelli derivanti da una progettazione non organizzata. Nelle figure 1 e 2 , ci accorgiamo come prevalgano costi dovuti alla consulenza esterna e al mantenimento di un sistema burocratico, nel quale la qualità viene attivata pochi giorni all’anno in occasione della verifica dell’ente di certificazione (costi, quindi, assolutamente inutili). Una progettazione non pianificata, che non segue una logica proattiva porta a una serie di costi tali a carico del cliente da divenire un autentico boomerang per l’azienda, minandone fortemente la credibilità e lo sviluppo.