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61 rmo gennaio/febbraio 2023 In quest’ottica, il suo team pur essendo quasi tutto com- posto da ingegneri, è molto eterogeneo; comprende, per esempio, professionisti specializzati nel settore chimico, in quello meccanico o elettronico, oltre a figure che si occu- pano invece di brevetti o di comunicazione in modo che ognuno abbia un punto di vista diverso per poter affron- tare un problema nella sua interezza. “Soprattutto però - precisa ancora l’ingegnere bresciano - io sono una persona curiosa e mi piace capire come è fatta qualunque cosa: vado a vedere come viene realizzata una vernice, mi incuriosisce scoprire di cosa è fatta la gomma delle scarpe che indosso. Studio, mi informo e immagazzino tutto così quando mi chiederanno di mettere a punto un particolare componente ‘morbido’ saprò che si può provare a realizzarlo con un tipo si schiuma analogo a quello che viene usato per le suole delle scarpe”. “Sono sempre stato molto curioso fin da piccolo e lo devo anche al fatto che i miei genitori avevano un’azienda che operava nel settore del tessile e, più da genovesi che da bre- sciani, ogni volta che i macchinari si rompevano mio padre cercava di sistemarli in maniera autonoma evitando il più possibile di chiamare il meccanico, l’idraulico o l’elettrici- sta - entra nel dettaglio -. Quando era costretto a far inter- venire i tecnici per forza mi chiamava perché vedessi come venivano modificate o sistemate le macchine in modo da poterlo poi far fare a me: da quando sono nato sono sempre stato abituato a vedere mio papà che prova a smontare e rimontare cose e da lui ho acquisito quella capacità di saper guardare come si costruiscono o assemblano oggetti e mec- canismi per poi poter ripetere l’operazione in autonomia”. Delocalizzazione addio: non in Cina, non negli USA ma neanche a Milano. Sulla scia della fama generata dalla valvola Charlotte, Fracassi è stato contattato da aziende d’eccellenza in giro per il mondo (da Bill Gates, alla Fondazione Obama, da Harvard, alla Columbia University, per non parlare sempre della Nasa) ma lui invece di espatriare ha raddoppiato la sede storica di Isinnova nella sua città natale. “Non vado all’estero ma non vado neanche via da Brescia - spiega - e questa è già una grossa scelta perché la cosa più logica, non volendo uscire dall’Italia sarebbe stata quella di spostarmi almeno a Milano, ma io adoro la mia città e ritengo che sia molto importante che la conoscenza rimanga dove è nata anche a discapito del ritorno economico”. “Andare via poi avrebbe significato dover spegnere Isinnova e la cosa non mi piaceva affatto perché credo fermamente che se ogni volta che gli Stati Uniti, o qualunque parte del mondo dove è più prestigioso, più facile o più remunerativo lavorare, chiamano e il bresciano o l’italiano scappa, in questo modo im- poverisce di talenti il suo paese o la sua città - continua -. Ritengo invece che se, a partire dal mio piccolo ma anche più in generale, rimaniamo qui può essere che tra cinquant’anni un californiano si trovi a dire: ‘wow mi ha chiamato Brescia’ come oggi a noi suona prestigioso dire ‘wow mi ha chiamato la Nasa’”. “Magari sono controcorrente e sono tra i pochi a pensarla così ma, nel mio caso, conta anche il fatto che affronto cose nuove tutti i giorni e spazio tra ambiti molto diversi collegando tra loro mille mondi che ho già visto - conclude -. Ogni nuovo progetto o nuova idea mi dà ancora una scossa di adrenalina e quindi muovermi in un territorio conosciuto e stranoto non mi pesa. Anzi”.
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