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progettare 434 NOVEMBRE / DICEMBRE 2020 37 a gestire i progetti AI, che come ab- biamo visto vanno dalle conoscenze tecnico-scientifiche al business, che devono lavorare insieme; questo ri- chiede le nuove competenze di gover- nance dell’innovazione, di gestione di progetti multi-disciplinari, che non tutte le imprese hanno già adegua- tamente sviluppate. “La quarta area riguarda la cultura aziendale - prose- gue Miragliotta -. Tradizionalmente le organizzazioni hanno sempre dato molta enfasi al talento individuale. Nel caso della AI, il ruolo dell’uomo visto in tendenza cambia, in quanto il suo compito è quello di addestrare la macchina a fare sempre meglio, al limitemeglio di sé. Questo richiede un cambio culturale enorme da accetta- re, e per esperienza vediamo chemol- ti progetti diAI falliscono proprio qui”. La quinta dimensione riguarda infine la relazione con i clienti, per cui le organizzazioni devono essere anche in grado di far capire che in azienda alcuni processi e decisioni avvengono in automatico, e che l’investimento messo in campo contribuisce a dare un servizio ulteriore, grazie però ad un percorso da fare insieme. Si pensi a un software che offre assistenza tec- nica, disponibile 24/h, che effettua una valutazione e propone di sostituire un componente. È chiaro che anche tale software può commettere errori, dovrà apprendere ed essere affina- to, ma va correttamente comunicato al cliente l’incremento del livello di servizio che l’impresa sta cercando di offrire. Progetti sempre aperti La questione della gestione della rela- zione con i clienti porta direttamente l’attenzione su un tema di altrettanta rilevanza, ossia l’evoluzione nel tem- po di un progetto di AI. “Un progetto AI non è un progetto tradizionale di cambiamento IT, che ha un inizio, una fine e richiede poi solo manutenzione - spiega Miragliotta -. Esso è, teorica- mente, un cantiere sempre aperto e in potenziale continuo miglioramento”. La AI è infatti nutrita da nuovi dati che arrivano continuamente dal campo, e richiede una continua attenzione all’in- terpretazione delle prestazioni dell’a- gente intelligente. Basti pensare a un sistema Adas, che nel 95% dei casi frena il veicolo in caso di pericolo, e che nel restante 5% si limita a segna- lare qualcosa si anomalo. Sarà allora opportuno che il guidatore continui a tenere una mano sul volante, ma ciò non annulla i benefici dati dal sistema. “Quelli di AI sono progetti molto arti- colati, dove un malfunzionamento del sistema non è un caso da trascurare ma da approfondire - dice Miragliotta -, incorporando nel sistema dei loop di controllo che avvertano quando qualcosa è significativamente alterato rispetto alle condizioni apprese all’o- rigine”. Infine, per il futuro della AI gli sviluppi attesi non riguardano tanto la tecnologia, quanto tutto il coacervo di cambiamenti nelle cinque aree su cui le aziende devono lavorare al loro interno. “Una applicazione di AI inte- ressante non è quella che utilizza l’al- goritmo più strabiliante del mondo in un contesto in cui i dati sono sbagliati e gli operatori vedono lamacchina come una minaccia - conclude Miragliotta -. È quella che utilizza un algoritmo solido, accessibile, intellegibile e ben provato, in un contesto in cui il patri- monio informativo è estremamente ben curato e gli operatori vedono che quanto meglio la macchina fa il suo lavoro, tanto più il loro futuro è assicurato perché l’azienda è compe- titiva”. Parlando di AI, nell’industria manifatturiera servono insomma cose semplici, robuste e messe in mano a processi altrettanto robusti, in organizzazioni con la mente aperta. @marcocyn

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