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progettare 429 APRILE 2020 27 La visione strategica Alla luce di quanto emerso, viene spontaneo chiedersi se le aziende italiane possano vantare una reale e profonda visione strategica. Per appurarlo, lo studio di Amcham ha realizzato una survey tra 190 exe- cutive di 90 aziende italiane. È risul- tato che, sebbene l’86% di queste aziende abbia già avviato progetti di AI, solo il 3% è in una fase avanzata di implementazione. E cosa ci si aspet- ta da queste tecnologie? Il 40% dei rispondenti auspica una maggiore efficienza dei processi aziendali e una riduzione dei costi, mentremeno del 20% un miglioramento della cu- stomer experience o una maggiore efficienza dei propri dipendenti. Ma quali caratteristiche deve avere un’azienda perché sia ideale terreno di coltura per lo sviluppo di tecno- logie di AI? Per il 67% del campione deve poter fare affidamento su una leadership illuminata, che sostenga la svolta in- telligente della propria azienda. In secondo luogo (46%) deve sostenere la promozione di un cambiamento cul- turale, che apra i luoghi di lavoro alla sperimentazione. Infine (45%) deve avviare un approfondimento e un’e- stensione delle competenze tecniche ad un’ampia percentuale di lavoratori. E non finisce qui: l’88% degli intervi- stati ha pure espresso interesse per specifiche sessioni formative; è quindi evidente che si voglia al più presto colmare il gap di competenze. Questi i requisiti dell’azienda idea- le. Ciò però non esclude l’esisten- za pervasiva di timori, attinenti alla diffusione delle nuove tecnologie ‘intelligenti’. Due le paure più comuni: che le nuo- ve tecnologie richiedano per la loro manutenzione investimenti non so- stenibili e che esse possano impattare in maniera dirompente e negativa sul versante occupazionale. Di fatto, però, la percezione di quest’ultimo rischio è variabile e risulta molto più elevata (19%) tra le aziende che ancora non hanno avviato progetti di AI, rispetto a quelle già veterane in questo ambito, che hanno la consa- pevolezza di come le macchine non sianomere sostitute dell’uomoma - al contrario - una sorta di ‘super potere’ in grado di potenziare le performance. Tra queste infatti il 54% dei dirigenti è convinto che l’AI sarà un catalizza- tore fondamentale nella risoluzione dei problemi, il 22%, considera l’in- telligenza artificiale uno strumen- to ottimale per prendere decisioni informate, mentre solo il 7% nutre delle remore, temendone un effetto negativo sul personale. Fattori esterni In chemisura variabili esogene (come, ad esempio, gli incentivi) incidono sul- la diffusione dell’AI nel nostro Paese? Per collocare nella giusta prospettiva la questione, si è inquadrato il caso italiano inuno scenario internazionale, tenendo in considerazione sei parame- tri: livello di digitalizzazione del settore pubblico, infrastrutture, competenze, innovazione, norme e investimenti. Ne è emerso che Stati Uniti e Cina, parlando di AI, sono da considerarsi i ‘campioni’ mondiali, con prospettive floride anche per il futuro, come si evince dal fatto che entro il 2030 la Cina prevede che la propria industria AI arriverà a valere 131miliardi di euro. In particolare negli Stati Uniti lo 0,3% del PIL, contro una media dello 0,05%, è costituita da investimenti privati in iniziative di Intelligenza Artificiale. In Europa è possibile distinguere tre aree di sviluppo in ambito AI: Regno Unito, Paesi Scandinavi, Germania e Francia, appartengono al gruppo più avanzato; tra questi primeggia il Regno Unito, con lo 0,04% di PIL investito in AI; nel secondo gruppo rientrano Italia e Spagna. Nello spe- cifico il nostro Paese investe solo lo 0,001% del PIL, pari a 19,9 milioni di euro (contro l’1,1 miliardi del Regno Unito). Infine ci sono Paesi, come la Grecia, in cui si devono ancora get- tare forti fondamenta prodromiche ad un futuro sviluppo. Per quanto attiene l’Italia si evince dunque come ci siano ancora mar- gini di miglioramento da cogliere. E come una corretta allocazione di fondi pubblici potrebbe essere un volano importante. @carmelaignaccol
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