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22 progettare 415 GIUGNO / LUGLIO 2018 INCHIESTA La robotica collaborativa fa quindi la parte del leone nella manipola- zione, come sottolinea Cocchi, con un trend molto positivo nell’assem- blaggio, soprattutto per gestire pezzi di piccole dimensioni e con pesi limitati, ambito in cui i cobot offrono il meglio di sé. I robot tradizionali e collaborativi L’avvento prorompente della roboti- ca collaborativa ha spesso generato fraintendimenti sulla corretta sele- zione della soluzione robotica più idonea. “La differenza sostanziale tra un robot collaborativo e uno tradizio- nale risiede negli obiettivi produttivi - rimarca Scifo -. Per produzioni con tempi ciclo molto ridotti e numero elevato di pezzi il robot industriale re-sta indispensabile, perché libero di muoversi alla massima velocità. Invece su applicazioni con numeri ridotti e dove serve l’intervento di un operatore, il robot collaborativo può garantire un buon risultato”. Continua D’Angelo: “In un contesto di mercato con continue modifiche di prodotto, la componente umana è spesso cru- ciale. I cobot rappresentano una solu- zione efficace laddove è possibile in- tegrare la loro ripetitività, affidabilità e sicurezza alla flessibilità e reattività dell’ingegno umano”. Il fattore discri- minante, aggiunge quindi Pecchenini, è proprio la necessità di operare a fianco o in collaborazione con le per- sone, o in un’area circoscritta ad alta velocità: “Il problema che le aziende italiane si trovano però ad affrontare approcciando questa tipologia di ro- bot è legato principalmente al fattore rischio e sicurezza. Molte aziende non sono infatti preparate al loro uso, va- lutando il solo fattore di rischio legato al robot stesso e trascurando quelli legati all’ambiente operativo, al pez- zo manipolato, al processo e a tutto quanto è esterno al robot”. Il payload limitato che caratterizza i collaborativi è connaturato al requisito di sicurezza che incarnano, come spiega Garabini: “La sicurezza nei cobot è ottenuta limitando l’entità dell’impatto in caso di interazione. Per alti payload questo richiede velocità talmente basse da rendere il robot non più economi- camente conveniente”. Occorre però sottolineare che le due tipologie non sono in competizione, né esistono barriere divisorie o specificità appli- cative, come spiega Pellero: “I cobot che effettuano operazioni realmente collaborative si trovano laddove la produttività non è il principale driver, ma la complessità di assemblaggio. Al di fuori di quest’area si può ri- condurre l’applicazione a soluzioni tradizionali dotate di funzioni safety avanzate, mantenendo tutti i vantaggi in produttività”. Per Cocchi vi sono quindi anche altri criteri aggiuntivi
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