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Big data in Italia a 2,41 miliardi nel 2022 nei dati dell’Osservatorio del PolimiERT

Il mercato italiano dei big data nel 2022 raggiungerà un valore di 2,41 miliardi di euro, in crescita del +20% sul 2021, secondo i dati dell’Osservatorio Big data & business analytics della School of Management del Politecnico di Milano.

A trainare la crescita è soprattutto il software, che vale il 54% del mercato e sale del +25% rispetto al 2021, mentre meno sostenuta è la spesa in risorse infrastrutturali, al di sotto della media di mercato. Il buon andamento è trasversale a tutti i settori merceologici, con incrementi più marcati per GDO/retail, pubblica amministrazione e sanità. Sale a ritmo doppio alla media del mercato il budget analytics destinato a servizi di public cloud, che vale quasi un quarto della spesa in soluzioni e servizi di data management & analytics.

Sale al 65% la sperimentazione di advanced analytics nelle grandi aziende (54% nel 2021), e figure di data scientist sono presenti nel 49% delle grandi imprese, data engineer nel 59% e data analyst nel 76%. La ricerca conferma quindi il permanere della difficoltà a inserire ruoli professionali specializzati su gestione e analisi dei dati. Il 66% delle grandi realtà dichiara di aver sperimentato tempi di recruiting più lunghi e circa il 40% tassi di turnover più elevati.

Sul fronte delle PMI, il 55% dichiara di aver portato avanti investimenti in ambito data management & analytics o prevede di farlo entro fine anno. Percentuale in crescita rispetto al 2021, ma che non mostra importanti accelerazioni rispetto a quanto registrato negli ultimi tre anni. Inoltre, quattro aziende su dieci non hanno alcuna figura dedicata, neanche parzialmente, all’analisi dei dati.

“Nonostante le difficoltà dello scenario globale, nel 2022 le imprese italiane continuano a mostrare grande interesse per gli analytics – afferma Carlo Vercellis, responsabile scientifico dell’Osservatorio Big data & business analytics -. Cresce la maturità delle organizzazioni verso una cultura data-science-driven e insieme il mercato, che ha lasciato alle spalle il periodo nero. Ma la sfida di chi ha avviato sperimentazioni o progetti di advanced analytics ora è quella dell’industrializzazione dei processi per garantire efficienza e governance dei dati in tutti i livelli”.

 

“La spesa delle aziende italiane è tornata stabilmente a crescere, ancor più velocemente per le realtà più in ritardo, mentre si consolidano i progetti delle aziende più mature. – spiega Alessandro Piva, responsabile della ricerca dell’Osservatorio Big data & business analytics -. Ma il forte interesse per le soluzioni di analytics non corrisponde sempre a un cambio di rotta complessivo: sono ancora una minoranza le organizzazioni con una Data strategy di livello corporate. Ora è necessario trasformare le organizzazioni nel profondo, creando ponti tecnologici, organizzativi e culturali tra le opportunità di analisi avanzate, le applicazioni intelligenti e le competenze e attività quotidiane dei lavoratori”.

L’Osservatorio per la ricerca 2022 ha inoltre costruito un indice di maturità complessivo, denominato ‘Data strategy index’, comprensivo di tre ambiti: Data management & architecture (strumenti, competenze e processi per la gestione tecnologica, integrazione dei dati e governo del patrimonio informativo), Business intelligence e Descriptive analytics (strumenti e competenze di base per una Business Intelligence pervasiva) e Data science (attività che contemplano analisi predittive e di ottimizzazione a partire dall’analisi dei dati). Secondo lo studio è pertanto possibile definire ‘avanzate’ il 15% delle grandi imprese. Ma anche per queste ci sono ampi margini di miglioramento, come l’inserimento di figure executive a capo della strategia di valorizzazione dei dati o la capacità di valutare i dati come asset, in grado di porsi alla base di nuove forme di collaborazione extra-aziendali.

Le aziende intraprendenti (30%) sono invece realtà che hanno già sviluppato una buona esperienza con gli Advanced analytics ma lamentano alcune carenze lato gestione e governo dell’intero patrimonio informativo. Le prudenti (22%) sono organizzazioni che hanno approcciato in maniera parziale o stanno per approcciare l’utilizzo della Data science, ma hanno una buona gestione e qualità dei dati a disposizione. In entrambe le situazioni ci sono benefici e rischi, che i decisori aziendali dovranno essere in grado di riconoscere. Infine, per le aziende immature (18%) o ai primi passi (15%), la priorità rimane il consolidamento dell’attività di Business intelligence, ossia il completo superamento dell’utilizzo di fogli elettronici e l’introduzione pervasiva di strumenti di Data visualization & Reporting avanzati.

Scendendo in dettaglio, negli ambiti della Business intelligence e Descriptive analytics le grandi organizzazioni sono a buon punto. L’83% dichiara la presenza di competenze (centralizzate o distribuite) e il 69% sfrutta strumenti di Data visualization avanzati. Nonostante questo, solo quattro aziende su dieci testimoniano un alto livello di pervasività nell’utilizzo dei dati nei processi decisionali. Sul fronte della Data science, prosegue come già anticipato la crescita delle organizzazioni che hanno avviato almeno una sperimentazione in ambito Advanced analytics (65%, nel 2021 era il 54%). Tra queste, una su due dichiara un numero di progetti superiore al 2021. Le funzioni in cui la Data science trova maggiore applicazione sono marketing, vendite, e produzione. Contesti in cui risulta più semplice valorizzare in termini economici i risultati portati dalle singole progettualità.

Così come già evidenziato negli scorsi anni, permangono importanti differenze tra il livello di maturità delle medie (50-249 addetti) e piccole (10-49 addetti) imprese. Le imprese di medie dimensioni hanno un livello medio di adozione delle tecnologie più alto delle piccole. Inoltre, solo un terzo dichiara di non avere personale dedicato – almeno parzialmente – all’analisi dei dati. La forbice tra piccole e medie registra comunque leggeri segnali di riduzione rispetto agli scorsi anni. Le piccole e medie imprese che hanno figure interne si affidano spesso anche a consulenti esterni, prevalentemente in maniera spot su specifici progetti.

Quest’anno l’Osservatorio ha infine condotto, in collaborazione con BVA Doxa, una rilevazione rivolta ai lavoratori non specialisti dell’analisi dei dati delle aziende con più di 10 addetti. Tra questi, il 60% dei manager dichiara di visualizzare almeno una volta a settimana report di sintesi sulle aree di propria competenza. La diffusione della Data literacy oltre le figure specializzate non è dunque marginale ma è un’evoluzione fondamentale per connettere algoritmi e persone. Considerando tutti i lavoratori, si scopre come, in media, i lavoratori italiani abbiano competenze appena sufficienti per essere considerati alfabetizzati ai dati in relazione alla propria mansione lavorativa. Tuttavia, emergono limiti sulla conoscenza del patrimonio informativo aziendale e sull’interpretazione delle analisi predittive.